“Nessun partito parla concretamente di lotta alla criminalità organizzata, al di là di generici slogan. Nei vari programmi manca proprio il progetto concreto di cosa fare e come muoversi contro le mafie, ed è assente la voglia stessa di contrastarle giusto nel momento in cui, con l’arrivo dei nuovi capitali del Pnrr, sarebbe importante farlo”. Così Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, intervistata su la Repubblica in vista delle elezioni politiche del prossimo 25 settembre. “L’ho detto e ripetuto tantissime volte. Quando si scelgono persone che devono essere votate e destinate a un servizio pubblico come la politica, è necessario che su di esse non ci siano né ombre, né tantomeno macchie di qualsiasi genere, proprio perché devono svolgere un’attività pubblica, quindi devono essere un esempio di limpidezza assoluta. È superfluo perfino parlarne”, ha aggiunto riferendosi al caso della candidatura alla Presidenza della Regione Sicilia da parte di Fratelli d’Italia, di Renato Schifani sotto inchiesta per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento.

Nel marasma che si è creato in questi giorni a seguito della presentazione delle liste, Maria Falcone fa un commento amaro sullo scenario politico e sulle dinamiche che si sono venute a creare tra i partiti. Il tema della lotta alla criminalità organizzata dovrebbe essere in cima alla lista delle priorità dei politici e a questo proposito rivolgendosi ai partiti ha sottolineato: “L’obiettivo della lotta alla mafia non può essere solo la caccia a un latitante, ma prevenire e sventare gli interessi che ci sono dietro”.

Si è poi soffermata sulla non ricandidatura dell’ex magistrato antimafia Piero Grasso “provo una grande disillusione perché Grasso ha dimostrato da magistrato prima e da politico poi di essere sempre coerente e di aver fatto, sin dagli anni del maxi processo, della lotta alla mafia la sua fede”. “Quello che addolora- ha proseguito la sorella del giudice assassinato- è che prevalga sempre la nomenclatura del partito piuttosto che le personalità che hanno una storia importante e che hanno dato un rilevante contributo di esperienza”, ha aggiunto. “Dobbiamo renderci conto che nella lotta alla criminalità c’è ancora tantissimo da fare. Oggi Cosa nostra non è più quella che uccide perché ha capito la lezione del 1992 e del 1993.

E poi, dunque, un commento finale sul ruolo dei magistrati in politica e sull’assenza di figure togate ancora attive fra i candidati. “Questo non mi dispiace affatto, perché un magistrato che entra in politica rischia di inquinare il suo lavoro. E non lo trovo eticamente corretto”.

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