In Piemonte, in Toscana, in Trentino e Lombardia. Le cronache locali registrano diversi attacchi di lupi a greggi di pecore. E ci sono stati anche avvistamenti vicino alle città. Ma è stato l’attacco sull’Alpe Sarpeis, tra i 1600 e 2200 metri della montagna del comune di Ala di Stura (Torino), l’11 agosto scorso (una ventina le pecore morte in un assalto a un gregge messo in atto da un paio di lupi) a spingere il presidente Marco Bussone dell’Ucem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) a scrivere una lettera in cui si chiede alle autorità un intervento di contenimento dei lupi. A maggio l’Ispra aveva stimato una presenza di 3300 esemplari segnalando un aumento soprattutto nelle zone alpine. Nel caso di Ala di Stura l’attacco è avvenuto in pieno giorno, alla presenza dei pastori e dei “cani conduttori”.

L’allevatore ha scritto all’Ucem, al Presidente della Repubblica, al Presidente della Regione Piemonte, all’Assessore regionale all’Agricoltura, al Prefetto. Bussone ha risposto girando le richieste al governo: “Abbiamo chiesto in molte occasioni e ancora recentemente al ministero dell’Ambiente, della Transizione ecologica, di concertare e definire al più presto il “Piano lupo nazionale”. Abbiamo più volte ribadito che va scritto e attuato d’intesa con gli altri Paesi europei alpini, Francia, Austria, Germania, Slovenia. Dobbiamo scriverlo insieme nel quadro delle Politiche europee su biodiversità e agricoltura. Quello che fanno altri Paesi alpini per contenere le predazioni, sia attuato anche in Italia, sulle Alpi, in forma sinergica. I piani di abbattimento, se si fanno altrove, vanno condivisi tra Paesi, Italia compresa. Il “Piano lupo” è da troppo tempo fermo al Mite, stretto tra polarizzazioni e anche condizionato da chi ancora vorrebbe, in perfetto anacronismo, chi vive sui territori montani “giardiniere della montagna. Crediamo invece, come Uncem, in uno sviluppo armonico che veda le imprese agricole e tutta la manifattura o il turismo, stare nella transizione energetica e affrontare la crisi ecologica con soluzioni green che non lascino indietro alcuno, che siano per le comunità”.

La lettera non tralascia un altro problema segnalato dalle cronache ovvero quello dei cinghiali: “Lo abbiamo detto più volte anche riferendoci ai cinghiali: gli agricoltori e gli allevatori sono vittime di un’invasione che va contenuta con un piano chiaro e forte di abbattimento degli ungulati. Chi dice il contrario, vada a parlarne con qualche imprenditore agricolo in zone rurali e alpine italiane. Poi torna a dirci cosa ne pensa. Se ha soluzioni migliori, vi sono diversi territori pronti, candidati, a sperimentarle. Ma non si perda più tempo. Sul lupo, occorrono strategie di contenimento efficaci e durature – continua la lettera – . Sono tanti, in aumento, forse troppi. I programmi di mappatura avviati sulle Alpi non sempre hanno riconosciuto che i lupi mangiano anche pecore, capre, sbranano vacche e quel che trovano. Se il cane non è adeguato, fa una brutta fine. Per questo occorre investire risorse del Programma di sviluppo rurale anche sui cani, e che siano quelli giusti e non quelli timidi. Uncem sta dalla parte degli allevatori e degli imprenditori agricoli, da sempre. Senza dubbi. I ministeri competenti per materia – Politiche agricole e Ambiente – lavorino per proteggere un’agricoltura di montagna che non può vedere operatori e allevatori soli, in alpeggio o vicino alla stalla, perché non hanno soldi per pagare collaboratori. E manco possiamo avere personale preso per caso, anche da qualche Paese extraeuropeo, e mandato lì in alpeggio allo sbaraglio. È già successo. Senza demagogia abbiamo detto che non va bene, pur ribadendo che negli ultimi anni, solo l’immigrazione e la presenza di stranieri ha salvato intere filiere produttive agricole, zootecniche e della trasformazione lattiero-casearia in tante parti d’Italia, in tante stalle, più o meno alte. Questo processo va guidato con serietà, lungimiranza, formazione, senza ideologia e faciloneria interpretativa”.

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