Hadi Matar. Ora il volto dell’uomo che ieri, durante un festival letterario nello stato di New York ha accoltellato lo scrittore di origini indiane Salman Rushdie ha un nome e cognome. Ha 24 anni, è nato in California ma di origini libanesi e residente a Fairview, in New Jersey. Si sa ancora poco di lui e – ufficialmente- ancora meno delle motivazioni che lo avrebero spinto a commettere il fatto.
I condizionali sono d’obbigo visto che il giovane – accusato di tentato omicidio – si è dichiarato non colpevole. Lo riporta l’Associated Press. Matar è comparso in tribunale indossando una tuta bianca e nera e una mascherina bianca. Era ammanettato.

Chi è l’accusato – Le ipotesi che si fanno largo, lo vedono come un filoiraniano vicino ai pasdaran, che avrebbe atteso il momento giusto per mettere in atto l’ordine che nel 1989, l’allora Guida suprema l’ayatollah Khomeini aveva imposto a tutti i musulmani del mondo emettendo una fatwa nei confronti dello scrittore, colpevole di blasfemia per aver insultato il profeta Maometto nel suo celebre romanzo intitolato “Versetti Satanici”: uccidere Salman Rushdie. Una “chiamata alle armi” alla quale Matar avrebbe risposto, sebbene nel 1989 non fosse ancora nato. A conferma di questa tesi ci sarebbero alcuni post condivisi su facebook dal giovane in cui compaiono proprio l’ayatollah Khomeini, il generale iraniano Qassem Suleimani, ucciso durante un’operazione di intelligence pianificata dagli Stati Uniti e messa in atto con la collaborazione del Mossad il 3 gennaio 2020 e l’attuale Guida suprema Ali Khamenei. Tutti indizi che fanno propendere per la pista iraniana. Secondo i primi accertamenti investigativi, il giovane era in possesso di una patente falsa. Si scava ora nella vita del giovane per cercare di ottenere nuovi dettagli che possano spiegare la dinamica dei fatti e le motivazioni del gesto.

Le reazioni: il silenzio degli attivisti in Pakistan e quello “strano” dell’India Com’era prevedibile la notizia ha suscitato l’approvazione della comunità intellettuale iraniana con espressioni di giubilo sulle prime pagine dei principali giornali iraniani. Non è accaduta la stessa cosa in India- Paese natale di Rushdie dal rapporto controverso con la comunità musulmana- e Pakistan, Paese che nel lontano 2007 fu attraversato da un’ondata di manifestazioni contro la decisione di nominare lo scrittore anglo- indiano cavaliere, onoreficenza conferita dalla Regina Elisabetta a chi si è distinto per meriti particolari. All’epoca una folla di 300 persone si è riversata per le strada della capitale pakistana Islamabad gridando slogan come ” la nostra lotta continuerà fino all’uccisione di Salman Rushdie!“. Eppure, come fa notare il giornale inglese The Guardian che ha cercato di ottenere dei commenti sull’accaduto da esponenti del mondo della cultura e attivisti pakistani, un silenzio sembra calato da parte degli attivisti. La blasfemia, come ricorda il Guardian, è una questione estremamente delicata in Pakistan, dove anche accuse non provate provocano linciaggi e violenze. Salman Taseer, governatore del Punjab, è stato ucciso dalla sua guardia di sicurezza a Islamabad, nel 2011. Taseer aveva chiesto una riforma della legislazione sulla blasfemia e aveva promesso di aiutare Asia Bibi, una donna cristiana accusata di blasfemia dopo una discussione con una donna musulmana. “Strano” silenzio anche da parte dell’India, Paese di origine di Rushdie. Il governo indiano presieduto da Narendra Modi, infatti, non ha rilasciato alcuna dichiarazione al riguardo , come anche da parte dell’opposizione, come da parte del partito del Congresso che era apotere quando il libro venne pubblicato e che lo mise subito al bando.

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