L’uccisione del leader di al-Qaeda Ayman Al-Zawahiri non può essere considerata una scena a sorpresa. Il leader del gruppo era già decaduto da tanti anni, oltre alle notizie che confermavano le sue cattive condizioni di salute. Ormai da anni al-Qaeda non è la protagonista principale della scena terroristica, soprattutto dopo la forte affermazione dell’Isis con il forte appeal che l’organizzazione ha esercitato sui giovani jihadisti.

La morte di Al-Zawahiri non può cambiare molto nel breve termine: se vogliamo prendere come termine di confronto la morte di Hamza Bin Laden, figlio di Osama Bin Laden, può essere vista strategicamente come un passo molto più efficiente e tattico che ha danneggiato l’emergere di una nuova generazione di al-Qaeda. Tuttavia, questo assassinio aiuta l’attuale amministrazione americana più di chiunque altro, infatti strategicamente si è insistito nel collegare questo assassinio alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e al ruolo svolto da Al-Zawahiri in passato sia per gli attacchi dell’11 settembre sia per gli attacchi del 1998 che avevano preso di mira le Ambasciate americane a Nairobi, in Kenya, e a Dar es Salaam, in Tanzania.

Dal punto di vista della sicurezza la morte di Al-Zawahiri non avrà impatti significativi sulla struttura militante e combattente di al-Qaeda, ma potrebbe presto rappresentare una nuova sfida, soprattutto tra le giovani generazioni di al-Qaeda che sono state mantenute neutrali negli ultimi anni mentre i combattenti dell’IS controllavano la scena globale della jihad. Pertanto questo potrebbe rappresentare un elemento di forte politica in una nuova fase in arrivo di rilancio ideologico e operativo di al-Qaeda, seguendo i modelli di cronaca dei jihadisti che cercano di avere il proprio ruolo di primo piano nella jihad internazionale. Ciò significa che sì, l’amministrazione americana può promuovere l’assassinio di Al-Zawahiri, ma dovrebbe anche essere preparata per le ripercussioni che potrebbero mettere in pericolo gli interessi statunitensi, da parte di gruppi terroristici, anche emergenti.

Da un’altra prospettiva, la presenza e i collegamenti della rete di al-Qaeda in Afghanistan e i suoi legami con i talebani rappresenteranno sempre un ostacolo molto serio nell’affrontare politicamente o anche finanziariamente i talebani, in particolare la questione del rilascio del denaro afghano ancora congelato. Eppure la scelta, i tempi e le modalità di questa operazione mostrano la disperata necessità dell’amministrazione Biden di ottenere successi in politica estera in ambito sicurezza e antiterrorismo, attraverso operazioni che potrebbero avere un altissimo impatto mediatico. Questo non può essere visto nemmeno dalla necessità di questa amministrazione di ottenere il sostegno popolare per le elezioni di medio termine.

Sicuramente la questione dell’uccisione dei leader dei gruppi terroristici non ha più lo stesso vecchio effetto, quindi politicamente questo potrebbe servire per un impatto mediatico a breve termine, mentre il vero fattore che influenza le scelte delle persone in qualsiasi elezione è la capacità dei governi di garantire politiche efficienti collegate alla vita quotidiana dei cittadini e contribuenti, dall’inflazione, alla disoccupazione ecc. tuttavia quando si parla di politica estera l’eliminazione di un terrorista non può essere vista come una fonte di stabilità, soprattutto perché tutte le altre politiche poste in essere stanno preparando il terreno a una fase di instabilità internazionale a lungo termine.

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