L’accordo del Pd con Azione? “È la conseguenza della scelta di Letta di fare il partito di Draghi, allontanandosi dalle fasce deboli”. La rottura del “campo largo” con il Movimento 5 stelle? “Una scelta sciagurata in termini di prospettiva politica”. Stefano Fassina, deputato di Liberi e uguali e già viceministro dell’economia nel governo di Enrico Letta, è tra i più delusi dalla scelta del segretario dem di tagliare i ponti con i pentastellati. E proprio questo, ha spiegato sui social, è il motivo che lo ha spinto a non ricandidarsi dopo due legislature alla Camera, prima con il Pd, poi con Sinistra italiana e poi da indipendente nelle file di Leu. “Farò campagna elettorale da solo, proponendo le mie idee alle forze progressiste. Poi torno a fare l’economista”.

Che ne pensa del documento col patto tra il Pd e +Europa/Azione?
Un’agenda liberista, che conferma un atlantismo subalterno e non fa gli interessi del lavoro. L’errore fondamentale è stato assumere l’agenda Draghi come punto di riferimento: da lì, in modo meccanico, è derivata la chiusura al Movimento 5 stelle e la naturale attrazione verso Calenda, fino all’accordo di oggi. A questo punto, se devo essere franco, non capisco perché nella coalizione non debba esserci pure Renzi. La linea è sostanzialmente la stessa.

Quindi immagino che la posizione di Letta – “non parliamo con chi ha fatto cadere Draghi” – non la convinca.
È stata una scelta politica precisa e sbagliata: fare il partito di Draghi, elevare Draghi a bandiera di questo passaggio. E continuare ad allontanarsi da quelle fasce sociali in difficoltà che hanno bisogno di lavoro, di giustizia sociale, di conversione ecologica. Una sciagura non solo elettorale, ma anche in termini di prospettiva politica, perché fa venir meno l’unica potenziale alleanza riformatrice, che avevamo coltivato per tre anni. Ma mi faccia anche dire, con altrettanta franchezza, che il M5s è sembrato quasi sollevato da questa scelta. Conte non ha mai neanche provato a incalzare Letta per costruire almeno un’alleanza tecnica.

Pensa che avrebbe ottenuto qualcosa?
Non lo so, ma sarebbe stato interessante ascoltare la posizione del Pd. Invece il M5s ha scelto di tornare al passato, al “soli contro tutti”. In questo modo avremo da un lato il cosiddetto “centrosinistra” tutto spostato sull’asse liberista, dall’altro i 5s che faranno un’opposizione di testimonianza.

Sinistra italiana ed Europa verde hanno espresso dissenso verso l’accordo. Come dovrebbero muoversi?
Non voglio entrare in questa discussione, non sono più iscritto a Sinistra italiana e ho rispetto per i dirigenti. Mi pare chiaro che l’asse della coalizione sia ormai di fatto l’agenda Draghi. Dopodiché ognuno farà le valutazioni che ritiene.

In questo panorama un elettore di sinistra chi dovrebbe votare?
Avverto un grandissimo disorientamento, davvero tanto. E tanta delusione. Credo che i candidati nei collegi saranno rilevanti e spero che consentano di fare scelte minimamente interessanti.

E lei, cosa voterà?
Guarderò attentamente i candidati. Rimango nel perimetro dell’alleanza progressista naufragata.

Quindi non esclude il M5s.
Siamo in una fase embrionale. Guardo alle forze che sarebbero dovute essere protagoniste di quell’alleanza.

Come vede il suo futuro fuori dal Parlamento?
Dal 2 al 4 settembre ci sarà la scuola di formazione politica dell’associazione che ho fondato, “Patria e Costituzione”. Domani (mercoledì, ndr) esce il mio libro, “Il mestiere della sinistra”, in cui parlo di lavoro, mercati, politiche industriali. Sono i temi che proverò a portare nel dibattito elettorale, vedremo chi li raccoglie. Poi tornerò a fare l’economista: non sono ricco di famiglia, lavorerò per mantenermi. Ma continuerò a fare politica.

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