Sul crollo del ponte Morandi lo Stato regolatore e controllore “non ha osato andare in causa perché aveva la coscienza troppo sporca: in tribunale sarebbero emerse le gravi inadempienze della sorveglianza sullo stato sulle manutenzioni. L’usura degli stralli era nota”. Marco Ponti, già ordinario di Economia e pianificazione dei trasporti al Politecnico di Milano ed esperto della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture durante il governo Conte I, ha un’idea chiara sui motivi del diverso trattamento riservato al gruppo Toto e agli azionisti di Atlantia. A luglio il governo ha deciso di revocare alla holding dei Toto la concessione per l’Autostrada dei Parchi, che scadrebbe nel 2030, riaffidandola all’Anas. L’ha fatto applicando la norma sui casi di “grave inadempimento” che era stata pensata per mettere spalle al muro Autostrade per l’Italia ma che in quel caso non è stata utilizzata: al contrario, per accompagnare all’uscita i Benetton e gli altri soci lo Stato (in cordata con i fondi Blackstone e Macquarie) ha accettato di pagare caro, più di 8 miliardi di euro.

Due pesi e due misure, secondo il gruppo dell’ex patron di AirOne, che ha avuto buon gioco a lamentare come “nel caso di Genova, a torto o a ragione, l’art. 35 (del decreto Milleproroghe del 2019, ndr) non sia stato usato, nonostante le reiterate minacce di farlo a fronte dell’indignazione dell’opinione pubblica scossa dalle conseguenze tragiche dell’accaduto. Mentre lo si pretende di applicare a SdP, soltanto in base all’asserito presupposto, immaginato dal ministero senza alcun elemento probante, che prima o poi possa accadere un qualche incidente“. Secondo Ponti è probabile che dietro la decisione di non procedere al ritiro della concessione di Aspi non ci siano stati tanto il timore di essere chiamati a pagare un maxi risarcimento (nel caso il decreto che riduceva di due terzi le penali non avesse retto) e i ricorsi dei soci di minoranza alla Ue quanto la consapevolezza che “lo Stato era stato totalmente assente come controllore. Del resto con concessioni così lunghe controllori e controllati tendono a diventare troppo amici. Non a caso Castellucci (ex ad di Atlantia, ndr) mi disse che l’Italia è un bengodi…”.

Va detto comunque che tra le due situazioni ci sono differenze. La generosissima convenzione con la famiglia di Ponzano Veneto che all’epoca della privatizzazione del 1999 si era aggiudicata la gestione di 3mila km di autostrade (riscritta nel 2007 dal governo Prodi e modificata con l’emendamento “salva Benetton” durante il governo Berlusconi) non è stata messa in discussione fino a quando la tragedia di Genova non ha costretto il ministero a battere un colpo. Il tira e molla sui circa 6 miliardi di investimenti necessari per mettere in sicurezza le autostrade abruzzesi A24 (Roma-Teramo) e A25 (Torano-Chieti-Pescara) – meno di 300 km complessivi ad altissimo rischio sismico – va invece avanti da dopo il terremoto dell’Aquila e la mossa di Palazzo Chigi e del Mims è stata una reazione alla richiesta di risoluzione anticipata del contratto avanzata già lo scorso maggio dalla stessa concessionaria. Che dopo essersi vista contestare il “grave inadempimento” dei propri obblighi e bocciare dal Cipess la 19esima proposta di aggiornamento del Piano economico finanziario con aumenti dei pedaggi del 16% l’anno ha cercato di uscirne chiedendo allo Stato un indennizzo di 2,4 miliardi tra investimenti non recuperati, mancati aumenti dei pedaggi, mancati introiti fino al 2030 e danni da Covid. Il governo doveva a sua volta far qualcosa per superare l’impasse, considerato che nel 2020 il Consiglio di Stato, a fronte dello stallo del ministero sull’approvazione del nuovo Pef (quello precedente è scaduto nel 2013), ha nominato un commissario ad acta con l’incarico di approvarlo. Nonostante questo nulla di fatto.

Al netto di come andrà a finire il contenzioso legale con i Toto (il Tar aveva accolto il loro ricorso, il Consiglio di Stato lunedì ha ribaltato la decisione in attesa dell’udienza di merito), secondo l’esperto c’è in ogni caso “un errore di fondo nel concetto di concessione di un’autostrada. Sono a favore dell’intervento dei privati ma non con gare fatte praticamente per finta e non con queste durate. Le autostrade sono diventate “cash cow”, macchine da liquidità con cui spremere gli utenti che continuano a pagare i pedaggi nonostante le infrastrutture siano da molto tempo ammortizzate. Meglio mettere a gara ogni 5-7 anni solo la manutenzione, anche quella della viabilità ordinaria, eliminare i pedaggi e passare a una tassa di congestione, che non richiede caselli (si gestisce con sistemi satellitari) ed è efficiente ed equa”.

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Autostrade, il Consiglio di Stato ribalta la decisione del Tar: il controllo torna nelle mani dell’Anas come stabilito dal governo

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