Articolo 28 comma 3 dello Statuto del Partito democratico: “Non è ricandidabile alla carica di componente del Parlamento nazionale ed europeo chi ha ricoperto detta carica per la durata di tre mandati consecutivi“. La norma in teoria parla chiaro, proprio come la discussa regola “cugina” dello statuto M5s (che fissa il limite a soli due mandati). Tra i dem, però, le eccezioni non sono affatto un tabù: come a ogni vigilia elettorale è già partita la caccia alla preziosa deroga, che – puntualmente – il “Regolamento per la selezione delle candidature” consente al Consiglio nazionale di concedere. Non fa eccezione quello di quest’anno, approvato martedì 26 luglio all’unanimità dalla Direzione nazionale. Un documento che, se da un lato elenca più casi di incandidabilità rispetto a quello del 2018, dall’altro prevede eccezioni così numerose da rendere le regole, sostanzialmente, delle non-regole. A partire da quella dei tre mandati, ma non solo.

Un paletto non previsto cinque anni fa, per esempio, riguarda gli amministratori locali: “Non sono candidabili coloro che ricoprono la carica di sindaco di un Comune sopra i ventimila abitanti e di componenti degli organismi esecutivi e assembleari delle Regioni (assessori e consiglieri regionali, ndr)”, recita il nuovo Regolamento. Ma ecco l’eccezione, anzi, le eccezioni, “per le Regioni che si trovino nell’ultimo anno di legislatura” e per “i casi nei quali la Direzione nazionale conceda, su richiesta del Segretario nazionale, una deroga espressa“. La postilla sull’ultimo anno di mandato, guarda caso, sembra fatta apposta per Nicola Zingaretti, il governatore del Lazio ed ex segretario dem che scade a marzo 2023 e si è già detto “a disposizione” del partito. Ma potrebbe applicarsi anche agli eletti in Lazio e Lombardia che puntano al salto in Parlamento: al Pirellone, per esempio, sperano i consiglieri Carlo Borghetti e Gian Antonio Girelli. In ogni caso, anche in assenza di deroga automatica, per tutti i sindaci, i governatori, gli assessori e i consiglieri basta un’esenzione richiesta dal segretario e approvata dalla direzione per essere liberi di correre.

La regola dei tre mandati, invece, è “interpretata” già dal 2018 nel senso di tre legislature piene, cioè 15 anni. Recita il Regolamento appena approvato: “Non sono candidabili quanti abbiano ricoperto la carica di parlamentare nazionale per più di 15 anni consecutivi”. Ma anche qui, va da sè, ci sono le deroghe: per quelle ad personam, in questo caso, non serve nemmeno la richiesta di Letta, ma la domanda può essere presentata direttamente dall’interessato (e dovrà approvarla la Direzione nazionale). Poi c’è il salvacondotto automatico: che nel 2018 era limitato “al presidente del Consiglio e ai ministri dei governi” della legislatura precedente, mentre stavolta, più generosamente, è concesso a tutti “coloro i quali ricoprono o abbiano ricoperto (in qualsiasi momento, ndr) la carica di Segretario nazionale, di presidente del Consiglio dei ministri e di ministro della Repubblica“. Un elenco che comprende file di ex segretari ed ex ministri con ben più di 15 anni consecutivi in Parlamento: a partire dallo stesso Zingaretti (ex segretario), passando per gli attuali ministri Dario Franceschini (deputato dal 2001) e Andrea Orlando (dal 2006), fino agli ex ministri Roberta Pinotti e Marco Minniti (entrambi dal 2001 tra Camera e Senato). Svecchiare sì, insomma, ma con moderazione.

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