Lunedì 25 luglio si terrà un referendum in Tunisia per l’approvazione di una nuova Costituzione, fortemente voluta dal Presidente Kais Saied. Se dovesse vincere il , la Tunisia passerebbe dall’attuale regime semipresidenzialista a un forma di governo di tipo presidenziale molto simile a quella precedente la Rivoluzione dei Gelsomini – la rivoluzione che nel 2011 mise fine alla dittatura di Zine el-Abidine Ben Ali e inaugurò la primavera araba. Kais Saied, che lo stesso 25 luglio di un anno fa aveva sospeso il Parlamento e rimosso il primo ministro Hichem Mechichi, ha fatto un appello alla popolazione a votare sì per “evitare il crollo dello Stato e raggiungere gli obiettivi della Rivoluzione”. Il 25 luglio è anche il giorno in cui in Tunisia ogni anno si celebra la fine della monarchia e la proclamazione della Repubblica, e non è un caso. Molte sono le proteste che sono state sollevate nei confronti del referendum, che da molti partiti, giornalisti e associazioni non viene ritenuto legittimo. L’ong I Watch, leader nella lotta contro la corruzione e nella tutela della trasparenza in Tunisia, ha dichiarato al Fatto Quotidiano.it: “quando il comitato elettorale non è indipendente, perché tutti i suoi membri sono stati selezionati dal Presidente, il voto non può ritenersi valido. L’autorità che dovrebbe controllare tutto il processo non può essere di parte, deve essere neutrale. Per questo noi boicottiamo il referendum e accusiamo il comitato di essere parte della campagna personale del Presidente. Inoltre non c’è alcun quorum: di norma dovrebbe esserci una percentuale minima di votanti. Questa volta non c’è. Da quando Saied ha vinto le elezioni nel 2019, stiamo assistendo a un continuo processo di sgretolamento delle istituzioni democratiche. È vero che prima del 25 luglio 2021 (quando il Parlamento è stato sospeso) le cose andavano malissimo e il livello di corruzione nei tre rami del potere, esecutivo, legislativo, giudiziario, era molto alto, ma distruggere le istituzioni non risolve nulla. Avevamo deputati corrotti, ma non per questo non abbiamo più bisogno del Parlamento. Avevamo giudici corrotti, ma non per questo possono venire rimossi senza un procedimento appropriato” – alludendo ai fatti dello scorso 1 giugno, quando Saied ha rimosso 57 giudici accusandoli di corruzione e di proteggere i terroristi, episodio che ha generato molte proteste e manifestazioni di sciopero. “La lotta alla corruzione o è uguale per tutti o per nessuno”. La bozza costituzionale è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 giugno. L’8 luglio, due settimane prima del voto, sono state presentante delle modifiche ad alcuni emendamenti. La Costituzione del 2014 era stata il risultato di un processo durato due anni a cui avevano preso parte giuristi, intellettuali, politici e la società civile in generale. Questa volta il testo è stato preparato in appena quattro settimane a “porte chiuse”, da un consiglio i cui membri sono stati scelti dal Presidente stesso. Il fatto che la bozza sia uscita solo tre settimane prima del referendum, a cui hanno fatto seguito anche delle modifiche, solleva molte perplessità su quanto possa ritenersi adeguato un dibattito pubblico che ha preso piede in così poco tempo. Come se non bastasse, Sadok Belaïd, il presidente della commissione incaricata della stesura del progetto costituzionale, ha pubblicamente ripudiato il testo uscito in Gazzetta, sostenendo che non fosse quello preparato da lui e i suoi colleghi. Ha definito l’abbozzo “pericoloso”, “regressivo” e segnato dalla “tendenza a tiranneggiare il potere”. Ha anche dichiarato che alcuni capitoli possono spianare la strada per un “vergognoso regime dittatoriale”. Ciò nonostante Saied continua a godere di un forte consenso da parte della popolazione, che non sembra preoccuparsi più di tanto della gravità della situazione. Nell’immaginario collettivo rappresenta un simbolo di integrità, un’ icona della lotta contro la corruzione. I commercianti della medina lo ritengono una brava persona, uno di cui ci si può fidare. È vero che sta aumentando il malcontento nei suoi confronti, soprattutto da parte dell’élite liberale, ma la sensazione è che vincerà il referendum a mani basse (seppur con un livello di partecipazione molto scarso, dovuto al boicottaggio di partiti e associazioni). Decenni di corruzione e clientelismo hanno logorato il popolo tunisino, e Saied viene raffigurato come un punto di rottura col passato. I simboli sono importanti e lui sceglie date che hanno una forte carica simbolica. A dicembre aveva cambiato la data in cui si celebra l’anniversario della rivoluzione. Ora sceglie il 25 luglio per inaugurare l’inizio di una nuova era. Il suo obiettivo è quello di riscrivere la storia: la vera rivoluzione non si è mai compiuta. Anzi i governi di transizione democratica ne hanno tradito le premesse. Ora spetta a lui riportare lo spirito insurrezionalista nella giusta direzione, e poco importa se per farlo deve mandare all’aria la Costituzione e la democrazia. “Purtroppo in questo periodo storico le persone sono disposte a barattare la loro libertà per lo stomaco”, commenta Rihai, manager del programma anticorruzione di I Watch. “La situazione economica è disperata, la disoccupazione è elevata e la colpa è dei governi post-rivoluzione. Per questo la gente ha ancora fiducia in Saied. Si aspetta ancora che possa migliorare le condizioni di vita generali. Crede nella sua figura. Il problema è che non vede il pericolo: chi ci garantisce che le nuove leggi, dove tutto il potere è concentrato nelle mani di uno solo, non vengano usate per instaurare una nuova dittatura? Quale tutela per i cittadini se nella Costituzione non c’è alcun meccanismo di controllo o di impeachment nei confronti del Presidente? La Tunisia ha bisogno di persone competenti. Le persone devono conoscere la vera situazione sanitaria, economica e sociale del Paese per sapere dove ci troviamo veramente. È triste vedere diritti e libertà per cui è morta molta gente andare perduti così facilmente”.

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