Dalle guerre del riso combattute su più fronti, tra Veneto, Lombardia e Piemonte, ai danni all’ortofrutta in Emilia-Romagna. In Friuli-Venezia Giulia, invece, c’è una lista delle colture a cui dare priorità. E questo solo nelle regioni ‘ufficialmente’ in stato di emergenza. La siccità del Po e degli altri fiumi del Nord è un flagello per la Pianura Padana, culla di oltre un terzo della produzione agricola nazionale, ma la crisi idrica più grave degli ultimi settant’anni sta colpendo diverse colture anche al Centro e al Sud. Come ricordato dal presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti a margine dell’assemblea generale della confederazione “solo per i cereali la produzione si è ridotta del 30%”. Il caldo e la mancanza di pioggia “stanno seccando la terra – racconta Coldiretti – svuotando le spighe, scottando la frutta e la verdura nei campi e provocando stress negli animali nelle stalle con il crollo della produzione di latte”. Secondo un’analisi dell’associazione su dati Istat “la siccità con il taglio dei raccolti spinge l’inflazione nel carrello della spesa con aumenti che vanno dal +10,8% per la frutta al +11,8% della verdura, in una situazione resa già difficile dai rincari legati alla guerra in Ucraina”. Bisogna irrigare di più. E costa. E l’aumento del prezzi, in primis quello dell’energia, significa rincari a ogni passaggio della filiera.

La battaglia sul campo – Alle prese con queste difficoltà c’è anche Carlo Maria Recchia, una storia da favola alle spalle che lo ha visto portare in Italia, a soli 16 anni, una varietà di mais nero che in Europa non si coltivava più dal 1700. Così è nata la CMR Mais Corvino che a Formigara, in provincia di Cremona, produce farina, prodotti da forno, pasta senza glutine e birra. “Abbiamo investito, seminato, arato, dato concime, fatto tutte le pratiche agronomiche, ma non raccoglieremo nulla” scriveva un paio di settimane fa su Facebook. La siccità ha bloccato la crescita di parte delle piante di mais. “Abbiamo cercato di resistere con le buone pratiche e centellinando l’acqua – racconta ora a ilfattoquotidiano.it – ma alla fine prevediamo una perdita del 30% e conosco agricoltori che vivono una situazione anche peggiore”.

I cali della produzione. E i costi – In sofferenza per gli effetti di siccità e alte temperature non solo cereali (in primis riso, mais e grano tenero), ma anche ortaggi (come la barbabietola), pomodoro, frutta e semi di girasole. Il resto lo fanno gli insetti come la cimice asiatica e il moscerino dagli occhi rossi, particolarmente pericolosi per ortaggi e frutta. Secondo Coldiretti, senza precipitazioni rischiano di dimezzare i raccolti nazionali di foraggio e mais destinati all’alimentazione degli animali, già a meno 45%, mentre si registrano cali che vanno in media dal 30% sia per i raccolti di riso che per il grano duro utilizzato per la pasta, dal 20% per la produzione di latte al 15% per la frutta. Ciliegie, pere, albicocche, ma soprattutto meloni e cocomeri per i quali si prevedono riduzioni più consistenti. Il nuovo balzo dei prezzi aggrava una situazione che, secondo Coldiretti, costerà nell’anno in corso alle famiglie italiane oltre 8,1 miliardi di euro solo per la spesa alimentare, proprio a causa dell’effetto dell’inflazione scatenata dalla guerra in Ucraina che colpisce le famiglie, ma anche l’intera filiera: il prezzo dei concimi è aumentato del 170%, quello dei mangimi del 90% e quello del gasolio del 129%. Di fatto, i prezzi dei beni alimentari a giugno 2022 sono aumentati dell’8,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

In Veneto, siccità e grandine seminano il disastro – In Veneto resta cruciale per i risicoltori del Delta del Po uscire dalla situazione drammatica che riguarda circa 700 ettari coltivati a riso Carnaroli, Arborio e Baldo in Polesine. Peggio va a chi è più vicino al mare. Come raccontato da Antonio Bezzi, componente della sezione risicoltori di Confagricoltura Veneto e presidente del Consorzio risicoltori polesani, “la portata del Po è talmente bassa che il mare entra e sala tutto”. Così le piante sono annerite. Nei giorni scorsi è arrivata pure la grandine, che ha danneggiato campi di mais e ortaggi nel Padovano e vigneti, ciliegi, ulivi, ma anche coltivazioni di mais, soia e tabacco in provincia di Verona e nel Padovano.

Emilia-Romagna, perdite e timori – Marcello Bonvicini, presidente Confagricoltura Emilia Romagna, racconta a ilfattoquotidiano.it qual è la situazione nella sua regione, secondo granaio d’Italia dopo la Puglia, ma anche tra le più colpite dalla siccità negli ultimi venti anni, insieme a Puglia, Sicilia e Sardegna”. A livello nazionale, proprio in queste ore Confagricoltura denuncia “una repentina discesa del prezzo (per il grano duro, ndr) che non trova giustificazioni” in una campagna di raccolta con “un calo medio di produzione di circa il 30%” e chiede di fermare le speculazioni. In Emilia-Romagna, però, si produce soprattutto grano tenero. “Qui la raccolta del grano si chiude con rese molto altalenanti e un calo percentuale medio di oltre il 20% – spiega Bonvicini – con differenze produttive sostanziali da zona a zona”. E a rendere la coltura del grano tenero comunque redditizia, nonostante crisi climatica, effetto-rincari sui costi di produzione e rischi di flessioni nei mercati sempre all’agguato, è stato però proprio il prezzo. Che sale rispetto al primo semestre 2021 e alla media delle quotazioni degli ultimi 10 anni. Cosa comporta per il consumatore? “Il prezzo del frumento tenero si aggira sui 40 euro al quintale. In media – spiega Bonvicini – da 75 chili di farina (un quintale di frumento tenero) si ricavano circa 100 chili di pane. Quindi – spiega – il costo del grano su una pagnotta da un chilo è di circa 40 centesimi, ai quali bisogna però aggiungere i tanti rincari lungo la filiera fino al prodotto finito (logistica, energia, panificazione, distribuzione, ecc.)”. È presto, invece, per fare stime di produzione sul mais, tra le colture più idrovore, ma si prevedono perdite di oltre il 25%. Per il pomodoro da industria, invece, si teme “una pezzatura ridotta”. I costi di produzione sono aumentati, in primis quelli per irrigare i campi. Per ogni pianta serve il 20% di acqua in più. Ergo: “Preoccupano i vigneti, anche quelli di pianura oltre che i filari in collina”.

Irrigare i frutteti può costare fino a 5 volte di più – Come racconta Marco Piccinini, presidente dei frutticoltori di Confagricoltura Emilia Romagna “la raccolta dei prodotti ortofrutticoli finisce a metà settembre e non è detto che l’acqua che serve per irrigare i frutteti sia sufficiente. Penso anche alle pesche tardive, alle pere e alle mele”. E sui costi per irrigare conferma: “L’effetto combinato dell’aumento della quantità di acqua necessaria e dei rincari del prezzo dell’energia portano anche a un balzo dei costi di irrigazione per la frutta “fino a cinque volte rispetto alla media degli anni passati. Giorni fa – continua Piccinini – abbiamo calcolato circa 430 euro a ettaro solo di energia elettrica (nel 2020, il costo era di 92 euro), ma con gli aumenti degli ultimi giorni, le dico che si tratta di un prezzo che può ancora crescere”. Ma la carenza idrica porta con sé il problema di una crescita ridotta e, quindi, di un calibro più piccolo di frutta che il mercato può deprezzare.

Tra Lombardia e Piemonte, la guerra del riso – Anche la Lombardia deve fare i conti con diverse emergenze. Mentre a Cremona si stimano già cali nelle rese del 30% su frumento, orzo e pomodoro e di oltre il 50% sui foraggi che servono alimentare gli animali, al confine tra la regione e il Piemonte si sta consumando la guerra dell’acqua (e del riso) tra la Lomellina, in provincia di Pavia e il Novarese. Il 90% della produzione nazionale che si coltiva su 217mila ettari arriva proprio nel triangolo Vercelli-Novara-Pavia. L’Associazione irrigua Est Sesia, che gestisce la rete consortile dei canali nelle due aree, ha deciso di chiudere le bocche che riforniscono le risaie novaresi, per incrementare la disponibilità delle zone della Lomellina”. Trovandosi le acque lombarde a valle di quelle piemontesi, quel poco che arriva viene utilizzato dagli agricoltori novaresi. Che però, sono contrari e, attraverso Confagricoltura di Novara, nei giorni scorsi hanno fatto notare che “con disponibilità del 15-20% di acqua il Novarese ha rispettato la rotazione con colture meno esigenti dal punto di vista idrico, la sommersione turnata delle risaie a semina interrata” e altre buone pratiche.

Le altre emergenze – In Friuli Venezia Giulia, la pioggia di qualche giorno fa portato benefici solo in alcune aree circoscritte, tanto che il Consorzio di Bonifica Pianura Friulana ha stilato una lista delle priorità, tra cui le colture pluriennali (frutteti e vigneti), mais e medicai, soia e girasole. Ma sono diverse le regioni a chiedere lo stato di emergenza. In Puglia si stima un crollo nella produzione di olive del 40% e si registra un calo del 30% delle rese per grano e avena. I costi di produzione del grano, però, sono già aumentati dal 30 al 40%. “Per l’irrigazione di soccorso e il gasolio per tirare l’acqua dai pozzi, azionare trattori e mietitrebbie per raccogliere il grano – spiega Coldiretti Puglia – e per tenere in funzione h24 ventilatori e doccette refrigeranti nelle stalle”. Poi, come si diceva, ci sono le speculazioni sulle quotazioni, che rischiano di mettere in ginocchio gli agricoltori. In Liguria si teme per viticoltura, olivicoltura, foraggio e per il basilico utilizzato per il pesto, mentre nel Lazio, che fa anche i conti con l’emergenza incendi, secondo Coldiretti la siccità ha già provocato danni per oltre 250 milioni di euro.

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