di Barbara Pettirossi

L’intervista di Domenico De Masi“Draghi ha chiesto a Grillo di rimuovere Conte dal M5S” – mette in luce una situazione che ha del surreale: il garante del M5S, Beppe Grillo, sembra diventato il garante del governo Draghi. I colloqui telefonici costanti con il presidente del Consiglio e questa ostentata empatia fra i due – “Io e il premier ci capiamo, siamo tutti e due dei nonni” – che contrasta con il rapporto forse “conflittuale” con Giuseppe Conte, è l’ennesima spia della crisi di identità che il Movimento sta attraversando.

Quando Grillo gridava nel Vaffa-Day, il dubbio era che la sua leadership naturale e la sua straordinaria capacità comunicativa fossero preponderanti in quell’esperimento politico nascente. Cosa sarebbe accaduto una volta che la naturalezza e la spontaneità nello smuovere gli animi rispetto a temi come la giustizia, il lavoro, l’inclusione sociale, l’ecologia si fossero affievolite? Era un dubbio più che legittimo, dal momento che oggi stiamo assistendo a una “matura” retromarcia da ciò che rappresentava la forza del Movimento. Direi che l’Italia, già anzianotta di suo, non ha bisogno di nonni alla ribalta. I nonni sono saggi, consigliano, ma soprattutto lasciano che siano i nipoti a essere i protagonisti del loro futuro, senza intralciarne il percorso; facendo molta attenzione a non delegittimarli e a non vanificarne l’impegno e gli sforzi. Sono i suggeritori, non i registi. D’altra parte se l’ego dei nonni schiaccia quello dei nipoti, esiste un solo modo per non venirne annichiliti: ribellarsi, sia pure con affetto. “Caro nonno, ti voglio tanto bene, ma è ora che tu mi lasci vivere, nel bene e nel male”, questo direbbe un nipote consapevole.

Giuseppe Conte non merita di essere oggetto di un dibattito intorno alla sua leadership con chi è fuori dal Movimento come Draghi (o forse costui può anche permettersi di indicare la Via a Grillo?). Questo non perché sia “il più fico del bigoncio”, ma perché dopo aver ricevuto un largo consenso dall’opinione pubblica per il suo modo di gestire la pandemia, di rappresentare l’Italia in Europa e nel mondo, dopo essersi dimesso dai suoi due incarichi con dignità e con tanto di applausi, è stato tirato per la giacchetta dal M5S perché se ne facesse portavoce. Ora si assiste alla sconcertante vignetta di Grillo e Draghi che al telefono parlano del futuro di un professore e avvocato, a capo di un partito politico, al quale tutto si può dire, ma non che non abbia lavorato sodo. Cosa tra l’altro rara tra i politici del nostro meraviglioso paese.

Sulla sua presunta “inadeguatezza” poi si potrebbe aprire un dibattito, dal momento che il tanto invocato ricorso al governo tecnico non sembra altro che espressione dell’incapacità di una certa classe dirigente di trovare soluzioni adeguate ai problemi reali, se non della sua sfacciata propensione a cercare di soddisfare i propri interessi. Se, come dice De Masi, Grillo ha preso atto del tentativo di distruggere il suo “nipotino” (che non coincide, vale la pena sottolinearlo, con quello dell’attuale presidente del Consiglio), allora nonno Grillo pubblicamente riferisca con i suoi modi tanto efficaci cosa Draghi gli ha detto all’orecchio. Non può farlo? E’ in difficoltà? Perché?

Il M5S è ormai a un bivio: lasciarsi irretire da una politica vecchia e tecnocratica (Luigi Di Maio docet) o ricordarsi delle ragioni che lo hanno fatto nascere e iniziare a combattere seriamente per difenderle. Una terza via, quella di traccheggiare tra le necessità vere dell’Italia e della maggioranza degli italiani, e l’accondiscendenza alle logiche perverse della politica interna, purtroppo sembra condurre all’estinzione.

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