Dopo i ballottaggi delle elezioni legislative, che domenica hanno lasciato il presidente Emmanuel Macron senza una maggioranza all’Assemblea nazionale, la prima ministra francese Elisabeth Borne ha rassegnato le dimissioni ad appena un mese dalla nomina. Dimissioni che il capo dello Stato ha respinto “affinché il goveno possa rimanere in carica e agire in questi giorni”, comunica l’Eliseo. Borne ha convocato l’intero governo all’Hôtel de Matignon, la sua residenza ufficiale, nel primo pomeriggio. Mentre Macron, fa sapere ancora la presidenza, svolgerà “le necessarie consultazioni politiche per individuare soluzioni costruttive per il popolo francese” e ha in programma tra oggi e domani una serie di incontri con i leader dei partiti. Sullo sfondo resta anche l’ipotesi di un governo di minoranza, che cerchi il consenso parlamentare sui singoli provvedimenti.

La strada per un nuovo governo di coalizione – un’eventualità molto rara nella politica francese – si fa però in salita: nelle stesse ore infatti Macron ha dovuto incassare un altro rifiuto dei Repubblicani, i partner finora più accreditati con i loro 64 seggi in Assemblea. Al presidente ne servono 44, da aggiungere ai 234 della sua coalizione Ensemble! per arrivare alla quota di 289 che garantisce la maggioranza assoluta. “Non abbiamo intenzione di diventare la stampella o la ruota di scorta” della maggioranza, ha ribadito il presidente dei Républicains Christian Jacob a Radio France Inter ancora prima di incontrare Macron. “Siamo all’opposizione e ci restiamo, la risposta non sarà negli intrallazzi o negli inciuci. Che Macron metta delle proposte sul tavolo“. Per molti un modo di alzare il prezzo dell’intesa.

E proseguono le trattative anche sulla proposta di Jean-Luc Mélenchon, il leader della sinistra radicale, di formare un gruppo unico in Parlamento tra tutte le forze della coalizione Nupes (Nuova unione popolare, ecologica e sociale) che ha raccolto 141 seggi alle legislative. Se unita, la Nupes sarebbe il primo gruppo d’opposizione all’assemblea nazionale, superando gli 89 eletti del Rassemblement National di Marine Le Pen. Ieri socialisti, comunisti e verdi hanno espresso un primo rifiuto: a seguire Mélenchon per adesso c’è soltanto il suo partito, La France Insoumise. “Mélenchon non impone nulla a nessuno, ma fa una proposta”, dice il coordinatore di Lfi Adrien Quatennens. Per lui, il gruppo unico verrebbe legittimato dal fatto che l’attuale situazione politica è “molto instabile e inedita”.

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