“Chi entra in posti come questo non può uscirne sano. Un abominio, le condizioni sono inumane. Non può esserci alternativa alla loro chiusura”. Ponte Galeria, periferia di Roma, nella Capitale il clima è torrido. Fuori dal cancello, in gran parte arrugginito, del Centro di permanenza per i rimpatri, a pochi chilometri di distanza dallo scalo internazionale di Fiumicino, c’è, insieme ai suoi accompagnatori, Gregorio De Falco, senatore del gruppo Misto, eletto tra le fila del M5s ed espulso nel novembre 2018. Sembra un’era politica fa, ma sono passati appena tre anni e mezzo. Fu l’immigrazione il primo terreno di scontro, con De Falco tra i pochi senatori M5s a ribellarsi contro i Decreti Salvini. Oggi, senza più un partito di riferimento, De Falco continua però a occuparsi di migranti, rifugiati, richiedenti asilo e non solo. Non a caso da mesi cerca, quasi in solitaria, di far luce sulla situazione di chi si trova recluso all’interno dei dieci Cpr oggi ancora presenti e operativi sul territorio italiano, compreso quello capitolino.

Luoghi di detenzione amministrativa, dove si è trattenuti senza aver commesso alcun reato, ma con l’unica ‘macchia’ di violare una norma amministrativa che riguarda l’ingresso e il soggiorno nel territorio italiano. Una ‘detenzione senza reato‘ ai danni di cittadini stranieri, da tempo contestata da associazioni come LasciateCIEntrare, e non solo. Ma ormai nel silenzio o quasi della politica. Non è un caso che accedere all’interno di queste strutture sia praticamente oggi un’impresa. Impossibile o quasi per la stampa, complessa pure per chi come De Falco ne avrebbe diritto, come parlamentare, “ai sensi dell’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario, insieme ai miei accompagnatori per ragioni del mio ufficio”, rivendica. Eppure, denuncia, “è grave che alla legge spesso si sostituisca l’arbitrio e la discrezionalità dell’amministratore“. Così accedere per chi lo accompagna può diventare subito possibile nel capoluogo lombardo, ma non a Ponte Galeria. “Al Cpr di via Corelli a Milano siamo riusciti a ispezionare il centro io e i miei accompagnatori, cioè persone che parlano l’arabo e conoscono queste strutture. Fanno da mediatori culturali, in modo da poter controllare come vada la gestione e che la prefettura faccia a sua volta il proprio lavoro di controllo sul gestore. Qui a Roma invece mi è stato opposto un rifiuto, dalla prefettura di Roma o comunque attraverso la funzionaria, e non è la prima volta. Soltanto io potevo entrare subito, che non conosco la lingua araba. Mentre si doveva ‘procedimentalizzare’ l’accesso dei miei accompagnatori: nei fatti, potevano accedere tra quindici giorni”, attacca De Falco, annunciando di voler “ricorrere alle vie legali”.

Intanto, però, su Ponte Galeria è rimasto il silenzio, con la visita negata. Il Cpr è oggi gestito dalla società Ors, gruppo che già controlla centri per richiedenti asilo in Svizzera, Austria e Germania, oltre che nel nostro Paese, già sotto accusa da varie ong: “È stata oggetto di inchieste giornalistiche e interrogazioni parlamentari in merito alla sua gestione. Vince al ribasso, con un peggioramento delle condizioni“, spiega Yasmine Accardo, che accompagna ai sensi dell’art.67 il senatore nella sua ispezione, non riuscita, a Roma. “Abbiamo però visto come sia stata riaperta l’area femminile, una pessima notizia. Era stata chiusa per un paio d’anni: c’erano tre donne, oltre ai 105 uomini, in due aree separate. Non siamo riusciti a vederle. Spesso le donne che si trovano nei Cpr sono vittime di violenze, anche domestiche, sfruttamento e tratta, anche ulteriormente abusate dentro i centri”.

“Siamo riusciti quantomeno, dopo due ore di attesa, a fare pressione per il rilascio di una persona straniera che, come ci era stato segnalato, non doveva restare lì dentro. Questo perché un provvedimento amministrativo gli aveva revocato il permesso di soggiorno, ma il giudice aveva poi sospeso lo stesso in via d’urgenza. Nei Cpr persone con il permesso non devono starci, già il trattenimento non si sa su che titolo fosse stato fatto. Su nostra sollecitazione, poi, questa persona è stata ‘dimessa’, altrimenti chissà per quanto tempo sarebbe ancora rimasta lì dentro”, rivendica De Falco.

Non è la prima volta che accade: “Da 20 anni si sa come questi centri siano luoghi di trattamento inumano e degradante, di detenzione illegittima. Eppure sono ancora aperti. Dalle violenze delle forze dell’ordine, alla disattenzione degli operatori, tutto è accaduto qui dentro. In quindici anni di monitoraggio di questi posti abbiamo ritrovato persone vulnerabili, con patologie croniche, persone che erano ingiustamente trattenute perché avevano il permesso di soggiorno. Negli ultimi anni in tantissimi dopo i Decreti Salvini hanno perso il titolo di soggiorno, si sono ritrovati da un permesso umanitario a nulla in mano, con migliaia di irregolari creati”, spiega la stessa Accardo, già tra i referenti della campagna LasciateCIEntrare. E mentre vengono diffuse videotestimonianze da chi si trova dentro i Cpr, tra sporcizia e degrado, come a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), De Falco mostra gli scatti di Milano, nel centro visitato insieme alla collega M5s Simona Nocerino, un anno dopo l’ultima volta: “La situazione è disastrosa. Vede le ferite sul braccio di quest’uomo? Questo è molto diffuso, in tutti i Cpr come nell’hotspot di Lampedusa”, ci mostra. E spiega: “Si tagliano per poter finire in ospedale. Perché quando finisci in ospedale mangi e ti curano”.

“Molti di loro, soprattutto in seguito agli accordi tra Italia e Tunisia, hanno avuto addosso soltanto il vestito della detenzione, dagli hotspot, alle navi quarantena finalmente dismesse a fine maggio, fino ai Cpr”, precisa pure Accardo. Ricordando anche il caso della morte di Wissem Ben Abdel Latif, che ha perso la vita legato a un letto di contenzione in un corridoio del reparto psichiatrico dell’ospedale romano San Camillo, dopo aver trascorso gli ultimi giorni legato e sedato, senza possibilità di comunicare. “Era arrivato sano in questo Paese il 2 0ttobre a Lampedusa, immediatamente trasferito sulle navi quarantena, senza poter richiedere la protezione internazionale, richiesta poi nello stesso Cpr di Ponte Galeria, da dove il 23 novembre 2021 è stato trasferito verso l’ospedale Grassi di Ostia. Lì è rimasto in contenzione per 40 ore. Poi per altre 63 al San Camillo, dove era arrivato il 25 del mese”. Eppure, poteva essere salvato: “Il 24 il giudice di pace di Siracusa aveva sospeso il trattenimento. Wissem è morto legato, quando doveva essere liberato. Il processo è in corso, abbiamo costituito con diverse associazioni un comitato ‘Verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif” affinché la vicenda non venga dimenticata e archiviata”, denuncia Accardo. Ma Wissem rischia di non essere l’ultimo: “Altre persone che hanno protestato dentro i Cpr per le condizioni disumane sono state malmenate, sedate e hanno ricevuto un abuso di psicofarmaci”, denuncia.

Eppure, l’attenzione di media e politica è minima, se non nulla: “Hanno creato dei luoghi chiusi, invisibili, è il delitto perfetto”. E ancora: “Lo Stato li ha dati in gestione ai privati, ma non controlla”, attacca Accardo, mentre De Falco parla di ‘gravi opacità nella gestione’. Tradotto, non è possibile “migliorare le condizioni di vita”, ma soltanto archiviarli una volta per tutte.

Anche perché basterebbe leggere qualche numero per fotografare il fallimento del sistema: dal 2013 al 2020 (con un tempo massimo di permanenza passato nel tempo da 18 mesi a 90/180 giorni dentro i Cpr, ndr) non si è mai superata la soglia del 50-55% di rimpatri rispetto alle persone recluse nei centri. Per l’altra metà la reclusione stessa, alla quale non è seguito il rimpatrio, è stata praticamente inutile, considerato anche che molte persone trattenute provengono da Paesi con i quali l’Italia non ha stipulato accordi bilaterali. Ma non solo. Anche analizzando i rimpatri complessivi, secondo i numeri del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale – tra respinti o accompagnati alla frontiera, trattenuti nei Cpr o in altri luoghi – nel 2020 sono stati rimpatriate appena 3351 persone, mentre dall’inizio del 2021 al 15 settembre 2226 persone (più della metà verso la Tunisia, 1159, seguita da Albania, 462, ed Egitto, 252). Numeri irrisori di fronte alle stime sugli irregolari presenti sul territorio italiano, tra le 517mila e le 600mila persone.

Tradotto, per le casse dello Stato i Cpr sono così una spesa inutile: “Dovrebbero servire per identificare e rimpatriare gli irregolari, ma il numero dei rimpatri resta basso: a Milano negli ultimi tre mesi non ne è stato fatto nemmeno uno. E allora a cosa dovrebbero servire? Ad autoalimentarsi”, accusa De Falco. Convinto però che non ci sia alcun interesse da parte della politica a cancellare i Cpr: “Una futura maggioranza in grado di cambiare rotta sull’immigrazione e archiviarli? Non credo ci sia interesse”, attacca il senatore ex M5s, “anche perché questa impostazione è precedente a Matteo Salvini, pure alla legge Bossi-Fini, è già alla base della Turco-Napolitano. Ma l’unica soluzione resta creare dei canali di ingresso legali. E chiudere questi orrori“.

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