Impossibilità di comunicare con l’esterno, precaria gestione sanitaria, assenza di ogni tipo di attività ricreativa, sociale e religiosa. Sono le denunce portate avanti dal comitato Mai più lager-No ai Cpr, che da circa tre anni porta avanti la propria battaglia contro il Centro permanente per i rimpatri di via Corelli, a Milano. Tutto raccolto in un libro-dossier “Delle pene senza delitti. Istantanea del CPR di Milano”, presentato durante una conferenza all’interno dell’Università statale del capoluogo lombardo alla quale hanno partecipato anche il senatore ex M5s e ora Gruppo Misto Gregorio De Falco e l’avvocato penalista Eugenio Losco.

Il dossier, pubblicato il 29 luglio e reperibile gratuitamente sui social del comitato, raccoglie quanto ricostruito durante un sopralluogo di De Falco avvenuto i giorni 5 e 6 giugno all’interno del Cpr di via Corelli. I membri del comitato hanno voluto denunciare, anche tramite testimonianze audio-visive fornitegli, tutte le criticità che condizionano la vita di quello che viene definito un vero e proprio “centro di detenzione militarizzato”, nel quale sono fortemente frequenti rivolte, atti autolesionistici e tentativi di suicidio da parte dei trattenuti.

I vari interventi, mossi dalle attiviste e dagli ospiti, nonché ritrovabili sul dossier, hanno contestato numerose pratiche svolte all’interno dei Cpr, riguardanti la permanenza dei trattenuti: dall’impossibilità di comunicare con l’esterno (vengono ritirati i cellulari, e il loro utilizzo giornaliero è ridotto “ad una decina di minuti con cadenza non certo quotidiana”), alla precaria gestione sanitaria (“non esiste all’interno un ambulatorio medico validamente presidiato, neppure per le 3 ore minime giornaliere previste dalla tabella ministeriale allegata al bando, soprattutto nel fine settimana”), fino all’assenza di ogni tipo di attività ricreativa, sociale e religiosa.

Non solo: non mancano, ad avviso del comitato, anche criticità comunicative e burocratiche tra i vari organi deputati alla gestione del Centro. Aspetti che il senatore De Falco ha descritto come “un continuo scaricabarile tra la prefettura, il gestore, e l’Ats (Agenzia di Tutela della Salute), dove in definitiva non c’è mai nessun responsabile per quello che accade all’interno”. Sullo stesso argomento l’attivista Teresa Florio ha specificato: “Abbiamo chiesto l’elenco dei presenti nella struttura. Ci sono stati consegnati tre elenchi diversi: uno della Questura, uno della Prefettura, e uno del gestore, tutti con nomi parzialmente diversi, tra i quali erano indicate persone che erano già state rilasciate precedentemente. È inoltre assente un protocollo tra Ats e Prefettura, necessario per regolare e dare accesso all’assistenza medica specialistica per i trattenuti”.

Attualmente, dopo la pubblicazione del dossier, il comitato ha inviato una richiesta di sequestro dello stesso edificio, essendo stati violati – ad avviso degli attivisti – alcuni dei diritti fondamentali, tra cui quello della libertà di comunicazione con l’esterno, che ha avuto riverbero nella violazione del diritto alla difesa per via dell’impossibilità da parte dei trattenuti di comunicare con avvocati o altri difensori legali. Due gli esposti: il primo inerente ai reati di “lesioni e tortura aggravata in corso”, in riferimento ai presunti pestaggi avvenuti il 25 maggio da parte delle forze dell’ordine verso alcuni trattenuti, mentre il secondo riguarda la totale indisponibilità di cure specialistiche all’interno del centro, data dal mancato accordo tra Prefettura e Regione.

Anche le parole pronunciate dall’avvocato Losco, riguardo la responsabilità giuridica dei gestori, e degli altri organi implicati nella gestione del Cpr, ribadiscono questo concetto: “I due aspetti su cui abbiamo ragionato, per poi presentare l’esposto, riguardano la mancata tutela dell’integrità fisica delle persone detenute, specialmente dal punto di vista psichiatrico, e l’uso smodato della forza che è stato utilizzato dalle forze dell’ordine per placare una rimostranza – sostiene – In quel frangente sono stati accerchiati alcuni trattenuti, portati in una zona lontana dalle telecamere, e percossi in maniera violenta. Siamo riusciti a ottenere questo riscontro grazie alle cartelle mediche dei trattenuti che sono stati percossi”.

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