Il 12 giugno si è votato per cinque referendum. Un vero disastro per i promotori, posto che l’affluenza alle urne ha registrato un modestissimo 21%, facendo clamorosamente mancare il “quorum” che la Costituzione stabilisce per la validità della consultazione. Come si spiega una debacle così eclatante? Ecco alcune possibili risposte.

1. Alla giustizia servono (come l’ossigeno a un moribondo) processi brevi con costi sostenibili, ma i quesiti referendari in pratica non parlavano affatto di questo. La pomposa e autoreferenziale definizione dei promotori dei referendum (“per una giustizia giusta”) a molti deve essere sembrata quanto meno fuorviante.

2. L’iniziativa referendaria nasce dall’alleanza fra radicali e leghisti: ora, le battaglie dei primi sono quelle ipergarantiste di “Nessuno tocchi Caino”, dell’antiproibizionismo, della difesa dei diritti Lgbt, del sostegno all’eutanasia. Un mondo stellarmente lontano da quello dei leghisti medi “duri e puri”: fautori, per dirne una, della difesa sempre e comunque legittima. Inevitabile che una parte dei potenziali votanti abbia visto in questa ibrida alleanza qualcosa di strumentale, piegato cioè ad interessi “partitici” più che di giustizia.

3. Certe adesioni all’iniziativa referendaria, ancorché propagandate con evidenza, invece di aumentare l’affluenza alle urne potrebbero averla rallentata, funzionando come una specie di “bacio della morte”. Penso ad esempio a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati (in arte “er cecato”), condannati in appello per “Mafia capitale” che però non è mafia, dei quali è lecito pensare che la giustizia la vorrebbero far funzionare sì, ma in modo non proprio collimante con le aspettative del cittadino comune. E poi – passando a tutt’altra categoria – l’ex magistrato Luca Palamara, che la giustizia con il suo nefasto “Sistema” l’ha sistemata mica male, e ora avrebbe voluto resuscitarla con una manciata di Sì. Francamente, poco convincente.

4. In sostanza, la fuga di gran parte dei votanti potrebbe essere stata determinata dalla constatazione che gira e rigira coi referendum, più che riformare la giustizia, si volevano regolare alcuni conti con la magistratura. Che è certamente in grave crisi di credibilità e deve accettare incisive riforme che la correggano, ma senza “bastonate” da parte di chi è sempre in prima fila a gridare più giustizia, ma poi in concreto pretende meno giustizia quando sia in gioco la tutela dei propri interessi. E perciò non tollera i magistrati che ficcano il naso in faccende che prediligono la “zona grigia” senza troppi controlli.

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