Due miliardi di lire al Cercle Brugge, trecento milioni al calciatore: accordo chiuso, il Bari ha acquistato Kalusha Bwalya. Era giugno del 1989, i galletti erano appena tornati in Serie A guidati da Gaetano Salvemini, con la forte intenzione del presidente Vincenzo Matarrese di restarci: anche perché è la stagione che finisce coi Mondiali in Italia, che sta organizzando il fratello Antonio. E per l’attacco Kalusha Bwalya viene ritenuta la prima scelta. Lo conoscono tutti, Bwalya, perché come ricordava Gianni Mura “Bwalya fa rima con Italia”. Già una rima piuttosto amara, ai tempi: qualche mese prima quell’attaccante, allora sì sconosciuto, in Corea del Sud aveva fatto impazzire la nazionale olimpica italiana con gli altrettanto sconosciuti compagni dello Zambia.

Una nazionale forte, quella azzurra, guidata da Rocca che l’aveva ereditata da Dino Zoff: c’erano Andrea Carnevale, Ciro Ferrara, Pietro Paolo Virdis, Stefano Tacconi, Mauro Tassotti tra gli altri e nutrivano naturalmente ambizioni di oro olimpico. Dopo aver schiantato il Guatemala per 5-2 si ritrovano di fronte lo Zambia: una formalità, si pensa. E invece i Chipolopolo, soprannome che vuol dire “proiettili di rame” dal colore delle magliette, sono letteralmente imprendibili. Due in particolare non si tengono: il centrocampista Charly Musonda e l’attaccante Kalusha Bwalya, compagni di squadra anche in Belgio, al Cercle Brugge.

Bwalya scappa a Tassotti e porta in vantaggio lo Zambia, poi da una punizione defilatissima dimostra come sia tutt’altro che sprovveduto, beffando Tacconi che si aspettava il cross tirando invece piano ma angolato sul primo palo, Musonda porta a tre il bottino e ancora Kalusha Bwalya si fa beffe della difesa azzurra fissando il risultato su un incredibile 4-0 finale per lo Zambia. Un risultato che farà tantissimo rumore in un’Italia calcistica all’epoca non abituata a debacle tanto clamorose e sorprendenti. Farà tantissimo rumore anche quella nazionale africana: in un’epoca in cui l’Italia guarda con diffidenza ai calciatori africani (ci aveva provato giusto il buon Costantino Rozzi all’Ascoli con Zahoui, con scarso successo) si iniziano a mettere gli occhi su quei ragazzi.

Una nazionale “rustica” quello dello Zambia: si conoscono quasi tutti, amici sin da bambini, quando giocavano tra i campi improvvisati e polverosi. Su qualcuno di loro già aveva puntato qualche squadra europea, ma non di primo piano: il Cercle Brugge aveva scommesso su Bwalya tre anni prima, d’altronde 50 milioni di lire sono un prezzo accettabile per una scommessa. E il ragazzo aveva dimostrato di poterci stare in Europa, e nel campionato belga in particolare: capocannoniere col Cercle e nominato anche miglior giocatore, mica male. A Seul tuttavia dopo quell’exploit la strada dello Zambia si ferma ai quarti di finale: la Germania batte i Chipolopolo per 4-0, l’Italia invece arriva alle semifinali dove perde ai supplementari contro l’Urss. Il nome di Bwalya è caldo, e lo prende il Psv: non è sempre titolare, ma quando hai davanti uno che si chiama Romario può starci, e ciò che conta è che si fa trovare sempre pronto.

Il trasferimento a Bari intanto sfuma: c’è scetticismo, meglio puntare sui brasiliani più pronti come Joao Paulo e Gerson. Kalusha si dedica con lena a entrare nei meccanismi del Psv: con sacrificio, e a costo di rinunciare a qualche chiamata della nazionale. Ma in ballo c’è la qualificazione al Mondiale 1994: sarebbe storica per lo Zambia, e allora Kalusha decide di raggiungere i suoi compagni direttamente in Senegal, dove dovranno giocare una gara fondamentale, senza partire con loro da Lusaka. Lo Zambia non arriverà mai in Senegal: l’aereo su cui viaggiavano 18 giocatori più l’allenatore e i due collaboratori si schianta nel mare di fronte al Gabon. Muoiono tutti.

Sopravvivono Bwalya e l’amico Musonda, intanto passato all’Anderlecht. Sono distrutti: “Non abbiamo più amici, non abbiamo più nessuno” diranno. Kalusha è incaricato di metter su una nazionale nuova: non riesce ad arrivare ai mondiali, ma il cammino in Coppa d’Africa con un mix di ragazzini più Bwalya e Musonda è incredibile: arrivano in finale, ma contro hanno la Nigeria stellare di Finidi George, Okocha, Amunike e perdono, ma tornano da eroi. Bwalya legherà ancora a doppio filo la sua storia con lo Zambia: diventando capocannoniere nella Coppa d’Africa nel 1996 e provando, da allenatore-giocatore, a portare i suoi al Mondiale 2006, addirittura entrando in campo a 41 anni e segnando contro la Liberia su punizione per tener vivo il sogno, ma senza riuscirci. È dirigente – ruolo in cui incapperà in una squalifica di due anni per corruzione inflitta dalla Fifa – nel 2012, quando finalmente e contro ogni pronostico lo Zambia vince la Coppa d’Africa ai rigori contro la Costa d’Avorio di Didier Drogba, chiudendo di fatto un cerchio. Peccato il Bari non l’abbia preso in quell’estate di 33 anni fa: secondo Mura era meglio di Laudrup, di sicuro sarebbe stata una bella storia.

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