All’inizio degli anni 2000 l’olandese Winston Bogarde divenne l’epitome della bulimia da acquisto generata dalla sentenza Bosman. Ingaggiato a parametro zero dal Chelsea di Ken Bates, l’ex flop milanista sottoscrisse un quadriennale da 3 milioni di euro e non si spostò più da Stamford Bridge, nonostante in quattro stagioni fu mandato in campo solamente 12 volte, 11 delle quali nel suo primo anno. A tenere lontano Bogarde dal campo non erano gli infortuni ma precise scelte tecniche dell’allenatore Claudio Ranieri, che pur di costringerlo a cercarsi un altro club lo spostò prima nella squadra riserve e poi nelle giovanili. Nel 2003 il nuovo proprietario del club, Roman Abramovich, fece pedinare Bogarde da un investigatore nel tentativo di trovare un appiglio per rescindere il contratto, ma il comportamento dell’olandese si rivelò inappuntabile. Rimase al Chelsea fino all’ultimo giorno e costò al club 1 milione di euro per ogni partita giocata. Quasi vent’anni dopo, la storia si è ripetuta con l’addio di Danny Drinkwater al Chelsea. L’ex nazionale inglese è costato ai Blues 1.6 milioni a partita e, nel rapporto tra costo e utilizzo (sul rendimento è meglio soprassedere), si tratta di uno dei più grandi flop nella recente storia del calcio. A differenza di Bogarde, Drinkwater non è stato un parametro zero; per il suo cartellino i Blues pagarono 38 milioni di euro al Leicester City, squadra con la quale aveva vissuto da protagonista la fantastica stagione 2015-16 coronata dalla vittoria della Premier League. Con N’Golo Kantè, Drinkwater formava una cerniera di centrocampo di grandissima solidità e la sua era una storia nella storia, ovvero quella di un onesto faticatore della Championship inglese abile nel compiere il salto di qualità grazie a duro lavoro e grande professionalità. Il giocatore giusto nell’ambiente giusto con l’allenatore giusto.

Nel suo periodo d’oro Drinkwater era arrivato fino alla nazionale, con la quale ha disputato tre partite, tutte amichevoli. Al Chelsea però le sue quotazioni sono rapidamente crollate: se Antonio Conte gli ha concesso qualche scampolo di partita senza però mai rimanere soddisfatto dell’apporto fornito, con Maurizio Sarri è finito nel dimenticatoio. L’ultima partita di Premier con i Blues risale al 4 marzo 2018, in trasferta sul campo del Manchester City. Identico avversario anche per l’atto finale di Drinkwater con la maglia del Chelsea, avvenuto pochi mesi dopo nel Community Shield perso contro la squadra di Guardiola e in cui il centrocampista è entrato a mezzora dalla fine al posto di Fabregas. Rispetto a Bogarde, ineccepibile nel suo ruolo di turista retribuito, Drinkwater ha avuto qualche problema fuori dal campo, con un processo per guida in stato di ebbrezza che gli è costato una condanna a 20 mesi senza patente, e il coinvolgimento in una rissa fuori da un pub di Manchester. Per tentare di rimettere in carreggiata la propria carriera ha accettato di giocare in prestito: due volte in Premier League, dove tra Burnley e Aston Villa ha però raccolto solo 5 presenze senza mai riuscire a inserirsi nel gruppo; una nel campionato turco, al Kasimpasa, e l’ultima nella B inglese al Reading, dove per la prima volta in cinque anni è riuscito a disputare una stagione intera in campo con continuità.

Soprattutto, a differenza del suo predecessore olandese che si congedò con un “probabilmente sono uno dei peggiori affari della storia ma non me ne importa niente”, Drinkwater ha chiesto scusa ai tifosi del Chelsea con un messaggio su Instagram pochi giorni prima della scadenza del suo contratto. Nel post si è rammaricato per gli infortuni, gli errori commessi, le prestazioni deludenti e, più in generale, per il modo in cui sono andate le cose con la società, gli allenatori e i compagni di squadra. “Il calcio”, ha concluso, “è uno sport fantastico, ma questo trasferimento è andato storto per entrambe le parti. L’elenco delle scuse è infinito, ma non posso e non voglio cambiare quello che è successo. Avrei solo desiderato essere visto al mio meglio”.

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