“Ucraina subito in Ue”. L’appello è circolato nei comizi, negli studi tv, nelle cancellerie e anche ai vertici delle istituzioni europee negli ultimi mesi. Se l’espansione della Nato a Est è considerata da Mosca la principale minaccia alla sua sicurezza, tanto da decidere di invadere il Paese di Volodymyr Zelensky sempre più sbilanciato a ovest dopo le manifestazioni che nel 2014 portarono alla caduta del presidente filo-russo Viktor Yanukovich, l’alternativa praticabile per tenere Kiev ancorata al blocco atlantista era considerata la sua adesione rapida all’Unione. Un modo per mantenerla legata al cosiddetto blocco occidentale ed evitare che i tentacoli russi si allungassero ben oltre la Crimea e il Donbass. Ma oggi a frenare il processo è una delle voci più influenti tra i 27 Stati membri: quella del cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Il 3 maggio, alla Plenaria di Strasburgo, era stato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, a chiedere un’accelerata sui negoziati per l’adesione dei Paesi balcanici, riferendosi ad Albania e Macedonia del Nord, specificando anche di “volere l’Ucraina in Ue”. Una settimana dopo fu il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a confermare le buone intenzioni, in questo senso, delle istituzioni di Bruxelles: “Oggi abbiamo compiuto un altro passo, molto importante e non solo formale, nel nostro cammino verso l’Unione europea. L’Ucraina ha sottoposto la seconda parte delle risposte a un apposito questionario che deve essere compilato da ogni Paese che aspira a far parte dell’Ue. Di solito ci vogliono mesi. Ma noi abbiamo fatto tutto in poche settimane”, ha detto dopo l’invito di Ursula von der Leyen in persona a velocizzare questa parte del processo.

Una corsa all’adesione alla quale ha messo un freno Scholz che, parlando al Bundestag, si è detto non favorevole a una procedura accelerata rispetto a quella standard per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. “Che non ci sia alcuna scorciatoia per l’Ucraina è anche una questione di lealtà nei confronti dei sei Paesi dei Balcani occidentali” che da anni stanno portando avanti questo processo in vista del 2025, anno nel quale i primi Stati alle porte dell’Europa unita dovrebbero entrare a far parte del gruppo di Bruxelles, ha affermato Scholz. “L’Ucraina appartiene alla famiglia europea – ha chiarito – L’ingresso in Europa non è una questione di alcuni mesi o di alcuni anni. Perciò vogliamo concentrarci a sostenere l’Ucraina in modo pragmatico e veloce”.

Anche perché una procedura semplificata taglierebbe i tempi (e gli standard richiesti) per svolgere un corretto processo d’integrazione europea. Ogni Paese che fa richiesta di adesione, nel corso di questi anni, deve infatti impegnarsi a realizzare riforme che gli permettano di allinearsi agli standard europei su Stato di diritto, economia, giustizia, politica e industria. È ciò che è stato chiesto anche ai Paesi che hanno aderito per ultimi, come Bulgaria e Romania, o nel 2004, come Ungheria, Cipro, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Paesi Baltici. Un processo d’integrazione parziale rischierebbe, come successo con Polonia e Ungheria per quanto riguarda lo Stato di diritto e l’indipendenza del potere giudiziario, di permettere a Paesi ancora al di sotto di certi standard di entrare a far parte del gruppo dei 27 e votare in sede di Consiglio Ue, oltre che nel Parlamento europeo, su queste tematiche. Un problema aggravato, come si è visto, dal fatto che, in attesa della revisione dei Trattati, ognuno di questi Paesi può esercitare quello che di fatto è un potere di veto in Consiglio.

E l’Ucraina di questi standard non ne rispetta molti. Si tratta di uno dei Paesi europei più poveri in assoluto, mentre secondo l’indice di percezione della corruzione elaborato da Transparency è il Paese del Vecchio Continente più corrotto, al 122esimo posto a livello mondiale su 180 Stati analizzati. Secondo i rapporti della stessa Commissione europea, manca una vera strategia per la lotta alla criminalità organizzata, mentre i principali media nazionali sono concentrati nelle mani di un ristretto gruppo di editori. Gravi mancanze anche in materia di rispetto dei diritti umani, in particolar modo per quanto riguarda le comunità Lgbtqi.

Twitter: @GianniRosini

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