Centinaia di manifestanti sono scesi in piazza Avenue Bourghiba, nella capitale Tunisi, domenica 8 maggio per mostrare il proprio sostegno al presidente Kais Saied. “Giudicateli oggi” e “Il popolo vuole Ghannouchi in carcere” erano gli slogan che i manifestanti gridavano, facendo riferimento al leader del partito islamico Ennahda e presidente del Parlamento, ma anche a tutta la classe politica e ai suoi esponenti, giudicati corrotti e non adatti a governare. Da settimane disordini politici continuano a scuotere il Paese, alimentati da divisioni e da un’economia in crisi. Il presidente ha promesso di far redigere una nuova Costituzione e di sottoporla a referendum quest’anno, seguita dall’elezione di un nuovo Parlamento. E molti hanno visto in lui l’uomo che finalmente libererà il Paese dal retaggio politico corrotto dell’era precedente la rivoluzione del 2011.

La Tunisia sta vivendo negli ultimi mesi una grave crisi politica e costituzionale con due fronti in aperto contrasto tra loro: da una parte il capo dello Stato Kais Saied, che ha sciolto il Parlamento il 30 marzo scorso (ma i cui lavori erano già stati sospesi fin dal 25 luglio 2021) e che ha allargato il suo potere governando per decreto dallo scorso settembre, e dall’altra il Parlamento stesso, espressione dell’intero spettro politico del Paese e alla cui guida si trova il partito islamico Ennahda. Il popolo si è anch’esso diviso tra chi sostiene il presidente, giudicando quindi i partiti come corrotti e inefficaci alla guida del Paese, e quelli che invece temono un ritorno alla situazione precedente la Rivoluzione dei Gelsomini del 2010, quando l’intero potere era nelle mani di Ben Ali.

Kais Saied, eletto nel 2019, è infatti accusato di attuare un vero e proprio colpo di stato nei confronti delle istituzioni democratiche e costituzionali nate, e poi rafforzate, con la primavera araba. Come già detto, Saied ha infatti sospeso il Parlamento il 25 luglio scorso. Nello stesso giorno aveva licenziato il primo ministro Hichem Mechichi e due mesi dopo aveva firmato un provvedimento che gli permetteva di governare per decreto, senza quindi dover passare per il Parlamento e accentrando su di sé il potere esecutivo e quello legislativo. A dicembre poi ha annunciato un referendum costituzionale per una nuova legge fondamentale che dovrebbe sostituire quella del 2014. A inizio febbraio ha infine deciso di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura, concentrando virtualmente su di sé tutti i tre poteri che caratterizzano una democrazia liberale.

Il 2 maggio il presidente Saied ha aperto verso la società civile, annunciando l’avvio di un “dialogo nazionale” dal quale però saranno esclusi tutti i partiti politici che ritiene responsabili della crisi politico-economica che sta scuotendo il Paese. In un discorso pronunciato per la festa musulmana dell’Eid che segna la fine del Ramadan, Saied ha indicato che una commissione “gestirà il dialogo nazionale”, una misura invocata più volte dai paesi del G7 e dall’Ue dopo il suo colpo di forza del 25 luglio 2021. Al dialogo parteciperanno quattro organizzazioni: il sindacato Ugtt, l’organizzazione datoriale Utica, la Lega tunisina per i diritti umani (Ltdh) e l’Ordine degli avvocati. Si tratta del “Quartetto” che ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2015 per il suo contributo alla transizione democratica in Tunisia.

L’esclusione dei partiti indebolisce sicuramente il percorso democratico, rendendo vulnerabile il lavoro in corso per la riforma totale dello stato. La Tunisia sta infatti diventando un Paese in cui alle opposizioni non è più concesso spazio di dialogo. Nella classifica della libertà di stampa nel mondo pubblicata da Reporters sans frontières per il 2022, la Tunisia si è classificata al 94esimo posto, un peggioramento di 21 posizioni rispetto all’anno precedente. Per Rsf le ragioni del peggioramento del paese del Nord Africa sono dovute alle misure eccezionali annunciate dal presidente Saied il 25 luglio 2021, considerando che la normativa che regola il settore “rimane incompleta e prevede solo una minima tutela per giornalisti e media”.

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