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Omicidio di Serena Mollicone, Marco Mottola parla al processo dopo 21 anni: “Non l’ho uccisa io né nessuno dei miei familiari”

Il 39enne è imputato per concorso in omicidio insieme al padre Franco e alla madre Anna Maria. Ha respinto tutte le accuse: "Io la conoscevo dai tempi delle medie, non ho mai litigato con lei. Non abbiamo mai avuto una relazione, nessun flirt. In alcuni casi, sempre in gruppo, è venuta nella vecchia caserma di Arce"
Omicidio di Serena Mollicone, Marco Mottola parla al processo dopo 21 anni: “Non l’ho uccisa io né nessuno dei miei familiari”
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Una deposizione attesa per anni, ventuno per l’esattezza. Ha detto di non averla ucciso lui e che anche i suoi familiari non c’entrano: si è difeso su tutta la linea, Marco Mottola, figlio del comandante della stazione dei carabinieri di Arce, dove si consumò l’omicidio di Serena Mollicone l’1 giugno 2001. Mottola è imputato per concorso in omicidio insieme al padre Franco e alla madre Anna Maria. Ha respinto tutte le accuse il 39enne: “Non l’ho uccisa io Serena, né nessuno dei miei familiari. Io la conoscevo dai tempi delle medie, non ho mai litigato con lei”.

Questo il passaggio chiave della sua deposizione davanti alla Corte d’assise di Cassino, di fronte alla quale sono imputati anche il maresciallo Vincenzo Quatrale, anche lui accusato di omicidio, e l’appuntato Francesco Suprano che deve rispondere di favoreggiamento. Nel corso dell’esame Mottola ha affermato di avere conosciuto Serena Mollicone da ragazzino perché andava a ripetizioni di francese dal padre. “Ci siamo frequentati in comitiva fino ai 16 anni – ha proseguito l’imputato – Non abbiamo mai avuto una relazione, nessun flirt. In alcuni casi, sempre in gruppo, è venuta nella vecchia caserma di Arce”. Ma in quella nuova, dove si è consumato l’omicidio secondo l’accusa, “non è mai venuta a trovarmi da sola, ci si vedeva con gli amici anche per fumare qualche spinello”.

L’imputato, rispondendo alle domande dei suoi difensori, ha descritto Mollicone come “una ragazza riservata, non sono mai stato a casa sua tranne che per studiare francese con il padre”. Con la donna, ha detto ancora, “non ho mai avuto un litigio né le ho mai messo le mani addosso”. L’imputato ha aggiunto, inoltre, di avere saputo dai giornali che Guglielmo Mollicone, il padre della giovane, “accusava la mia famiglia ma a me non ha mai detto niente di persona”. Quindi ha aggiunto: “Non nego di essere rimasto sorpreso ed esterrefatto: abbiamo pensato di procedere con una querela nei suoi confronti ma poi abbiamo deciso di non procedere per il rispetto del suo immenso dolore”. Nel corso dell’esame l’imputato ha aggiunto di non “ricordare quando fu l’ultima volta” che vide Mollicone.

“Quando fui ascoltato dagli inquirenti nel 2001 dissi di averla vista alla festa di Sant’Eleuterio la sera prima che scomparisse perché diedi per scontato che nella feste del paese prima o poi si incontrano tutti”. Secondo l’impianto accusatorio, Serena Mollicone venne colpita mentre si trovava nella caserma dei carabinieri di Arce. In base alla consulenza del medico legale, sentito nelle scorse udienze, la ventenne poteva essere salvata ma per ore è stata lasciata priva di sensi nell’alloggio della caserma prima di essere uccisa. “Mollicone dopo il violento colpo contro la porta dell’alloggio della caserma cadde priva di sensi a causa di alcune fratture craniche ma poteva essere soccorsa – ha raccontato in aula il consulente di parte civile Luisa Regimenti – Fu lasciata, invece, in quelle condizioni per quattro-sei ore prima di essere uccisa dal nastro adesivo che gli è stato applicato sulla bocca e sul naso provocandone il soffocamento”.

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