Un presidente particolarmente furioso, così fonti della Casa Bianca descrivono lo stato d’animo di Joe Biden negli ultimi giorni. Le rivelazioni – rispettivamente del New York Times e di NBC News – secondo cui l’intelligence statunitense avrebbe fornito informazioni agli ucraini per uccidere generali russi e affondare la Moskva, non sono piaciute al presidente degli Stati Uniti. Biden avrebbe telefonato alla direttrice della National Intelligence, Avril Haines, a quello della Cia, William Burns, infine al capo del Pentagono, Lloyd Austin, per esprimere tutta la sua indignazione per la fuga di notizie. È una condotta indecente, pericolosa, che deve cessare immediatamente, avrebbe detto l’inquilino della Casa Bianca. In realtà, raccontano sempre la fonti dell’amministrazione, Biden avrebbe usato, come sua abitudine, un linguaggio più colorito, ma il senso è comunque questo.

La reazione furibonda, alla vigilia dell’incontro con il presidente del Consiglio Mario Draghi, rivela il timore di Biden: quello di passare da una guerra indiretta degli Stati Uniti nei confronti della Russia, a una guerra diretta. È ciò che Biden ha cercato di evitare fin dall’inizio, ma che diventa sempre più difficile. L’intelligence americana continua a fornire alla Casa Bianca un dato: la guerra sarà lunga. Il piano A di Vladimir Putin, quello di arrivare a Kiev, cacciare il presidente Zelensky e installare un governo amico, è fallito. Anche il piano B, che prevede di concentrarsi sul Donbass, non appare così vincente. I russi avanzano lentamente, alle conquiste territoriali si succedono perdite di avamposti appena occupati. Il tono moderato mostrato da Putin durante il discorso della vittoria del 9 maggio, è opinione prevalente in queste ore nell’amministrazione, non deve però trarre in inganno. Il presidente russo deve concludere questa guerra con qualcosa da rivendicare, da mostrare alla sua opinione pubblica. Per questo, riflettono i servizi dell’intelligence statunitense, la guerra sarà ancora, con ogni probabilità, lunga.

Questo vuol dire sostanzialmente due cose. Da un lato, che la Russia è destinata, sempre più, a indebolirsi strategicamente. Dall’altro, che il rischio di un allargamento del conflitto diventa una possibilità non così lontana. E se il primo è un obiettivo che gli Stati Uniti hanno consapevolmente ricercato fin dall’inizio dell’invasione, il secondo è un rischio che Biden non vuole correre. Questo spazio tra indebolimento russo e allargamento della guerra è del resto la via strettissima che il presidente Usa ha costantemente percorso e che continua in parte a caratterizzare la sua azione. Biden vuole vincere questa guerra “per procura”, senza che un soldato americano metta piede in zona di combattimenti. Vuole liquidare la minaccia autocratica putiniana senza un intervento diretto degli Stati Uniti. L’obiettivo è ambizioso ma, per l’appunto, basta molto poco per mandare all’aria i piani.

Dal punto di vista della Casa Bianca, la strategia sin qui scelta ha avuto successo. Putin voleva bloccare l’espansione della Nato, ma tra gli effetti dell’invasione ci sono stati i primi passi formali di Finlandia e Svezia per entrare nella Alleanza Atlantica. Dopo quasi tre mesi di guerra, l’economia russa appare in forte sofferenza e il suo esercito ha dato prova di una debolezza strutturale. L’isolamento internazionale di Putin è sotto gli occhi di tutti. Tra i risultati più importanti raggiunti dall’amministrazione c’è per l’appunto l’aver impedito che la Cina offrisse aiuto militare alla Russia. Ancora il 4 febbraio scorso, accogliendo Putin in occasione dei Giochi Olimpici invernali, Xi Jinping firmava una dichiarazione in cui si diceva che l’amicizia tra Russia e Cina “non ha limiti”. I limiti però ci sono, e sono gli interessi economici e commerciali. In una telefonata a inizio conflitto, proprio Biden ha avvertito il presidente Xi che il sostegno alla Russia avrebbe messo a repentaglio i rapporti commerciali della Cina con i suoi due principali partner: Stati Uniti ed Europa. L’avvertimento ha avuto l’effetto voluto. A parte alcune dichiarazioni di facciata, critiche degli Stati Uniti, Pechino si è mantenuto prudentemente fuori dello scontro.

Non deve neanche ingannare l’enorme aumento di assistenza americana all’Ucraina, con un’ultima tranche da 33 miliardi di dollari in aiuti militari ed economici che vanno ad aggiungersi ad altri 13,6 miliardi stanziati per Kiev alcune settimane fa. Se l’assistenza militare americana cresce, Biden si è mantenuto inflessibile nel negare all’Ucraina i jet militari che Zelensky da mesi chiede e che, in partenza da una base Usa in Germania, potrebbero provocare un incidente tale da degenerare in un conflitto diretto tra Stati Uniti e Russia. È insomma cresciuto soprattutto il volume degli aiuti militari americani all’Ucraina, in modo da aiutare le truppe di Kiev nella guerra, presumibilmente lunga, che si terrà nell’est del Paese. Ma Biden si è sempre mantenuto prudentemente al di qua di forniture che potrebbero far precipitare la situazione. Nonostante l’aperto sostegno diplomatico e militare, nonostante i miliardi in armi inviati in Ucraina, l’amministrazione Biden è stata molto accorta nel tutelare l’interesse nazionale americano. E l’interesse nazionale americano, al momento, è quello di non essere coinvolti.

Su questa linea, Biden ha ottenuto larghi consensi in patria. Buona parte dei repubblicani, e praticamente la totalità dei democratici, appoggia la sua strategia. L’Ukraine Lend–Lease Act, che dà a Biden il potere di trasferire armi all’Ucraina senza particolari intoppi burocratici e controlli legislativi, è stato votato all’unanimità dal Senato e ha ottenuto solo dieci voti repubblicani contrari alla Camera. Anche la sinistra del partito democratico, tradizionale spina nel fianco della Casa Bianca, appare nel complesso compatta nell’appoggio a Biden. L’unica vera differenza, sta nella richiesta che Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez e altri progressisti continuano a fare per una soluzione non militare del conflitto. Ma si tratta, per l’appunto, di posizioni che non mettono in dubbio l’approccio sin qui scelto da Biden: armi e sanzioni. Barbara Lee, la deputata progressista democratica che si oppose all’allargamento dei poteri di guerra del presidente dopo l’11 settembre, è volata nei giorni scorsi in Polonia e ha detto che “questo è un momento fondamentale, che deciderà se il mondo andrà avanti con i nostri principi democratici, oppure tornerà indietro, che è quello che Putin sta cercando di fare”.

La strategia guadagna appoggi anche nell’opinione pubblica. Un sondaggio Washington Post-ABC News di inizi maggio mostra che il consenso degli americani alla gestione della guerra da parte di Biden è cresciuto. Era il 33 per cento a febbraio, oggi è il 42. Quello che sta facendo l’amministrazione è del resto ciò che l’opinione pubblica americana chiede: più aiuti all’Ucraina (il 37 per cento degli intervistati per il sondaggio pensa anzi che gli Stati Uniti stanno facendo troppo poco per Kiev); nessun diretto coinvolgimento militare (solo un quinto degli americani, sempre secondo questo sondaggio, appoggia l’intervento militare diretto Usa). Episodi come la fuga di notizie sul ruolo dell’intelligence statunitense nell’uccisione dei generali e nell’affondamento della Moskva rischiano dunque di mettere in crisi questa strategia, perché svelano il grado di coinvolgimento americano nel conflitto.

Il vero problema, per Biden, sta del resto proprio qui. E cioè, bilanciare la volontà più volte ribadita di restare fuori da un confronto diretto con la Russia, con la realtà di un’assistenza militare ed economica all’Ucraina che si fa, giorno dopo giorno, sempre più ampia. Lo scambio di intelligence con gli ucraini – fatto assolutamente inconsueto per gli Stati Uniti – ne è soltanto un aspetto. I democratici al Congresso stanno pensando a un piano di nuovi aiuti da 40 miliardi di dollari. E proprio il Land-Lease Act, che si ispira a una misura assunta ai tempi di Franklin Delano Roosevelt per far arrivare rapidamente aiuti alla Gran Bretagna attaccata dai nazisti, è la conferma di come gli Stati Uniti stiano sempre più legandosi alle sorti militari ucraine. La guerra indiretta, quella fatta di sanzioni alla Russia e di copiose forniture militari all’Ucraina, resta la linea guida dell’amministrazione americana. Ma è sufficiente molto poco – appunto, una fuga di notizie dall’amministrazione Usa, un colpo di coda di Putin isolato e accerchiato, la scelta ucraina di colpire obiettivi all’interno dei confini russi – per mettere in crisi questa linea. A quel punto, lo slittamento dalla guerra indiretta a una guerra diretta potrebbe diventare una indesiderata, pericolosissima possibilità.

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