La proposta di colpire con sanzioni il patriarca ortodosso russo Kirill è una idiozia. Sarebbe interessante sapere chi lo ha suggerito alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. E anche conoscere chi da parte italiana lo ha approvato.

E’ inutile fare l’elenco dei peccati economici e politici del patriarca di tutte le Russie. Il patrimonio personale stimato intorno ai quattro miliardi di dollari, che la Novaja Gazeta ritiene possano arrivare a otto, i depositi bancari in Svizzera, Australia, Italia, lo chalet in Svizzera e la villa sul Mar Nero, forse anche uno yacht, di certo orologi costosi. In più le accuse di avere collaborato in epoca sovietica con il Kgb. Quanto al suo allineamento alle posizioni di Putin, al suo giustificazionismo in merito all’intervento in Ucraina, alla sua benedizione dell’esercito aggressore con il dono dell’icona della Vergine al capo della Guardia nazionale russa, ne sono piene le cronache. Per non tacere dei suoi anatemi contro il decadimento occidentale e le marce del Gay Pride.

Ma non è questo il punto. Secondo la bozza preparata dalla von der Leyen, il patriarca Kirill viene considerato responsabile del sostegno o dell’attuazione di “azioni o politiche che minano o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina” nonché la sua stabilità e sicurezza. Se non si coglie il ridicolo di questo linguaggio pomposo, vuol dire che si sta scivolando inesorabilmente verso l’isteria da guerra fredda.

Il moltiplicarsi delle sanzioni – che sono passate da strumento teso a colpire rilevanti interessi materiali o strategici dell’avversario a mezzo per ferirlo simbolicamente nel suo prestigio – si sta ormai trasformando in quello che i napoletani chiamano paccheri alla cecata e i romani esprimono nel detto ’ndo cojo, cojo. Dispetti a raffica. Ti sanziono l’amante, la portavoce, l’amico, i deputati… e perché non il maggiordomo, l’autista, il portaborse? Come se – tornando a Kirill – la storia europea e universale non fosse costellata nei secoli dei secoli da sacerdoti, monaci, gran gerarchi religiosi e cappellani militari che hanno invocato costantemente il Dio degli eserciti e della vittoria, benedetto ogni tipo di armi e cantato solenni Te Deum dopo sanguinose battaglie.

E’ la personalità laica, anzitutto, che si ribella all’idea di entrare – punendo – in quel mondo magmatico che dall’inizio della storia caratterizza credenze, riti, invocazioni di protezione rivolti al dio o alla dea o al nume senza sesso perché porti protezione, maledica i nemici, procuri bottino, salvi la proprietà e i “focolari e gli altari” come dicevano gli antichi romani. E’ un mondo che deve restare fuori. Che si ha il diritto naturalmente anche di odiare, come proclamava Voltaire, ma contro cui non ha senso agitare il cartellino di punizione. Portiamo in tribunale chi ha benedetto da nord a sud, da est a ovest, colonialismi, imperialismi e razzismi?

Tuttavia è dal punto di vista strettamente politico che la mossa è stupida. Colpire simbolicamente, con accuse generiche di essere cattivo, il capo di una grande organizzazione religiosa significa mobilitare automaticamente a suo favore la massa dei fedeli. Nel vasto spazio della Russia, specificamente, vittimizzare il patriarca porta a rafforzare, e non a indebolire, l’alleanza fra trono e altare che vige da secoli.

“Fare la guerra” al patriarca è il mezzo più sicuro per mobilitare le forze di un patriottismo religioso irrazionale attorno a Putin. E’ come se a Bruxelles stessero dimenticando che a Mosca nessun cambio di regime è mai stato possibile sotto l’agitare della frusta. Il disgelo di Kruscev si dispiegò nella stagione del distensione internazionale. Il riformismo di Gorbaciov si manifestò quando fiorirono gli effetti della coesistenza seguita al patto di Helsinki del 1975.

La via imboccata da von der Leyen va nella direzione opposta. Nel senso della guerra santa, nel seno di un’ideologica guerra di religione che non risparmia nessun ambito. Che cosa significa, ad esempio, che nell’ultimo pacchetto di sanzioni europee si vieti la diffusione dei contenuti di una serie di radio-tv russe in tutti i paesi europei? E se La7 o un altro nostro canale riprende una trasmissione russa vanno ammanettati? Chi è Bruxelles o un governo che può impedire ad un libero cittadino di informarsi su cosa pensa o su quali messaggi diffonde il “nemico”?

E’ ancora recente la triste offensiva organizzata dal governo Zelensky contro la Via Crucis organizzata da papa Francesco. Una donna ucraina e una donna russa non dovevano apparire insieme, reggendo la croce. Neanche se la donna russa aveva chiesto piangendo perdono all’amica ucraina. Nulla doveva intaccare l’odio nazionalista contro la nazione nemica.

Ursula von der Leyen ripete in questi giorni continuamente che la Russia deve pagare un “alto prezzo” per la sua guerra. Dimentica due cose che fanno parte della storia profonda della Germania. La Guerra dei Trent’anni scardinò e rovinò drammaticamente le città e le campagne tedesche e alla fine si concluse con un inevitabile compromesso. La seconda esperienza riguarda la spietata “pace dei vincitori” imposta a Versailles nel 1918 alla Germania sconfitta: non recò né pace né benessere al mondo intero. A Bruxelles farebbero bene a ricordarselo, invece di abbandonarsi all’ebrezza della parola d’ordine diventata di moda: “Vittoria!”.

Dalla cupola del Vaticano lo sguardo resta globale. Il cattolicesimo che evidenzia la prospettiva di Francesco rifiuta la “nuova guerra dei mondi” in corso sul terreno dell’Ucraina. Mario Giro, della comunità di S. Egidio, scrive ciò che molta parte dei cittadini italiani (e non solo) hanno già capito: “L’idea (a Washington) non è più di punire la Russia per ciò che fa in Ucraina, ma…distruggerne il potenziale economico-militare”. Non si tratta più di aiutare la resistenza e la legittima difesa degli ucraini. Ora questi ultimi sono “divenuti lo strumento di una cosa più grande, un altro tipo di guerra, senza limiti, in cui la pace si ottiene soltanto con la sconfitta definitiva di uno dei due protagonisti”.

L’isteria da guerra fredda, il controllo ossessivo della narrazione pubblica serve a questo.

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