Se il Regno Unito avesse adottato un approccio diverso rispetto alle chiusure e al lockdown, la nazione avrebbe sperimentato decine di migliaia di decessi dovuti alla diffusione di SARS-CoV-2, anche di persone considerate a basso rischio”. Ad avvalorare le decisioni prese dal governo inglese in merito alla quarantena uno studio, pubblicato sulla rivista Plos Global Public Health e condotto dagli scienziati dell’Università di Bath. Il team di ricerca, guidato da Kit Yates, ha confrontato le curve epidemiche e il tasso di mortalità di Covid-19 in relazione a diversi scenari di interventi mirati a limitare il rischio di contagio per la popolazione. In particolare, gli studiosi hanno valutato un approccio di ‘protezione mirata’, una delle strategie proposte durante la pandemia, che prevedeva una forma più rigida di protezione per i soli soggetti vulnerabili, come anziani o individui con fragilità pregresse. L’obiettivo di questo piano, commentano gli esperti, sarebbe stato quello di raggiungere e promuovere l’immunità di gregge nel resto degli individui, che avrebbero contratto l’infezione senza sperimentare conseguenze gravi.

Visto il costo psicologico, sociale ed economico della sospensione delle attività sociali, i ricercatori sottolineano l’importanza di comprendere gli effetti e i benefici del lockdown, specialmente in ottica di future situazioni emergenziali. Questo lavoro segue un’indagine simile, pubblicata sulla rivista Humanities & Social Sciences Communications (Nature) e condotta dagli scienziati del Karolinska Institutet in Svezia, che hanno evidenziato come le scelte compiute dal governo svedese durante la pandemia siano state costellate da errori e mancanze.

Gli scienziati hanno utilizzato il modello SEIR (Susceptible, Exposed, Infected, Removed), per confrontare l’andamento del tasso di mortalità in Regno Unito in uno scenario diverso da quello vissuto, con un approccio di ‘protezione mirata’. Per semplificare i calcoli, è stata presa in considerazione un’ipotetica città inglese con una popolazione di un milione di abitanti. Gli autori hanno valutato uno scenario senza alcuna schermatura, uno in cui la protezione dei più fragili avveniva in modo imperfetto e una in cui invece tutti i più deboli venivano salvaguardati. Quest’ultima prospettiva, tuttavia, avrebbe necessitato di condizioni estremamente restrittive impossibili da ottenere all’atto pratico. Ciò avrebbe provocato serie difficoltà non solo negli individui che avrebbero dovuto raggiungere l’immunità di gregge, ma anche e soprattutto sui più fragili.

L’analisi, riportano gli autori, indica chiaramente che, anche qualora fosse stata raggiunta l’immunità di gregge tra i soggetti non a rischio, il sistema sanitario nazionale avrebbe sofferto significativamente e si sarebbero verificate decine di migliaia di morti, che invece sono state evitate grazie all’introduzione dei lockdown. Con l’emergere delle nuove varianti, inoltre, commentano gli esperti, l’emergenza sanitaria sarebbe stata ancora più grave in assenza di misure restrittive rigide. “Il nostro lavoro – afferma Yates – dimostra che una strategia basata sulla sola protezione dei più deboli sarebbe stata fallimentare, il sistema sanitario sarebbe stato sopraffatto”. “Questo modello – commenta Cameron Smith, altra firma dell’articolo – evidenzia alcune delle caratteristiche importanti del modo in cui si sarebbe raggiunta l’immunità in diversi scenari, e sul numero di decessi che sono stati evitati grazie all’introduzione dei lockdown. Abbiamo dimostrato chiaramente che anche negli scenari più ottimistici, decine di migliaia di individui a basso rischio sarebbero morti a causa del Covid-19, e la capacità delle strutture di terapia intensiva sarebbe stata rapidamente superata. Con ipotesi più realistiche, la schermatura non sarebbe riuscita a proteggere i più vulnerabili. Questi dati potrebbero essere utili in caso di future pandemie, quando i governi dovranno nuovamente considerare le misure necessarie a proteggere la popolazione”.

Lo studio

Valentina Di Paola

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