L’Italia è l’Ucraina sono entrambe firmatarie della Convenzione dell’Aja del 1996 su responsabilità genitoriale e protezione dei minori. Ma a sette anni dalla ratifica, ancora non abbiamo linea guida chiare e univoche sulla sua applicazione. E nemmeno il recente Piano del ministero degli Interni per tutelare i minori soli non ha risolto la situazione. Una mancanza che l’esodo ucraino ha trasformato in un vero e proprio pasticcio burocratico. E a pagare sono proprio quei minori che vogliamo accogliere. “Procure minorili e tribunali dei minori vanno in ordine sparso, con orfanotrofi e case famiglia ucraini ai quali non è stata riconosciuta la tutela e che hanno rischiato l’allontanamento dei loro minori”, spiega Marco Griffini, presidente dell’Associazione Amici dei bambini (Ai.Bi.), uno dei principali enti italiani autorizzati per le adozioni internazionali. E nell’incertezza della giurisprudenza, racconta: “Una casa famiglia che abbiamo accolto ci ha chiesto di lasciare l’Italia per paura che potessero toglierle i bambini”.

Il problema andrà risolto quanto prima, perché i minori sono i più vulnerabili tra i profughi e perché in Italia ne sono già arrivati più di 33mila (dati ministero dell’Interno – 9 aprile 2022). Di questi, 1.099 sarebbero quelli non accompagnati e quindi bisognosi di tutela e di un affidamento temporaneo. Ma rischiano di essere considerati tali anche tanti minori accompagnati da tutori e affidatari, fuggiti dal conflitto insieme alla loro casa famiglia o all’orfanotrofio che li ospitava. “Prima della guerra, in Ucraina erano attivi 633 orfanotrofi con più 150 bambini ciascuno, per un totale di circa 98mila minori“, spiega il presidente di Ai.Bi. a ilfattoquotidiano.it. Quanto alle case famiglia, altra realtà molto estesa in Ucraina, la coppia di genitori affidatari ospita spesso più di dieci minorenni. Un’emergenza nell’emergenza, che ha subito innescato una gara di solidarietà per farli uscire dal paese in sicurezza. L’Ambasciata ucraina in Italia, da parte sua, ha immediatamente chiesto agli enti italiani interessati di fare richiesta formale per accoglierli adeguatamente, ovviamente accompagnati dai responsabili degli istituti o dai genitori affidatari. “Nella lettera dell’Ambasciata – spiega Griffini – è scritto a caratteri cubitali che questi bambini non devono e non possono essere adottati, che devono stare insieme alle loro famiglie affidatarie o con la comunità dell’istituto ucraino, perché saranno qui temporaneamente e devono mantenere intatti i loro legami”.

Nelle difficoltà della fuga da un paese in guerra, insomma, l’approdo italiano avrebbe dovuto essere certo e sicuro. Invece non sta andando così, non sempre. In Lombardia c’è chi si è visto affidare un tutore in affiancamento a quelli ucraini: “Un parroco, un sindaco, ma anche perfetti sconosciuti, come un avvocato in provincia di Milano”, riferisce Griffini. Che aggiunge: “In certi casi, vista l’esigenza di una mediazione linguistica e non solo, una co-tutela può essere utile. Ma altrove si è rischiato l’allontanamento dei minori“. E il timore che la cosa si verifichi ha già avuto conseguenze: “Dopo dieci giorni dall’arrivo, una casa famiglia che abbiamo ospitato nella bergamasca ci ha chiesto di comprare loro i biglietti per tornare in Polonia, perché terrorizzata che gli togliessero i minori loro affidati dalle autorità ucraine”. E ancora: “Ci hanno riferito di quattro istituti per minori dal Donbass che sarebbero fermi a Leopoli perché i dirigenti vogliono la garanzia che l’Italia non tolga loro i minori. E anche in Moldavia, dove siamo attivi da molti anni, una casa famiglia con quindici bambini che avremmo dovuto accogliere ha cambiato idea e guarderà altrove, dicendo che “l’Italia non è un paese sicuro per accogliere famiglie come la nostra“”.

Il problema è tutto nell’applicazione di una Convenzione che l’Italia, come l’Ucraina, ha già ratificato. E’ quella dell’Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori. E prevede che tutti i provvedimenti di tutela o affidamento approvati in Ucraina siano riconosciuti automaticamente, senza procedimenti amministrativi o giudiziari e senza la necessità di legalizzarli attraverso la validazione del Consolato. Insomma, di fronte a questi minori le procure e i tribunali competenti non dovrebbero aprire nuovi provvedimenti di tutela e nominare altri tutori, come invece va fatto per i minori stranieri non accompagnati. Ma come già detto, accade anche il contrario. Lo stesso Piano minori stranieri non accompagnati, emanato a fine marzo dal ministero dell’Interno, prevede che devono essere considerati minori stranieri non accompagnati anche quei minori che sono accompagnati da persone che non possano dimostrare di esserne i legali rappresentanti. Ma senza ulteriori precisazioni, la scelta ha aumentato la confusione in merito alla validità dei provvedimenti ucraini e alla legittimità dei documenti presentati da istituti e case famiglia. Confusione che invece la Convenzione supera del tutto, ritenendo sufficiente la traduzione dei provvedimenti stranieri.

Ma ci sono anche dei precedenti. Quando l’Italia, nel giugno 2015, ha provveduto alla ratifica, era già in ritardo di cinque anni sul limite ultimo concesso dal Consiglio Ue. E nella fretta di riparare ha emanato una legge fin troppo snella, compresa la decisione di non istituire un’Autorità centrale apposita, ma di delegare la presidenza del Consiglio dei ministri. Il risultato ultimo è che la nostra magistratura, quando e se è a conoscenza del fatto che l’Ucraina è tra i firmatari della Convenzione, sta esprimendo orientamenti e soluzioni differenti. “In un altro caso è stato chiesto l’intervento del ministero della Giustizia ucraino, e così il presidente del tribunale dei minori ha risolto la situazione e evitato che i minori fossero allontanati dalla famiglia”, racconta ancora Griffini. Che chiede un intervento immediato alla presidenza del Consiglio e al nostro ministero della Giustizia: “Stiamo creando problemi a minori che fuggono dalla guerra perché non siamo in grado di dire ai nostri giudici come applicare una normativa della quale a volte non sembrano nemmeno essere a conoscenza”. Problemi che, avvertono gli esperti in materia, potrebbero spingere qualcuno a tenere nascosti i minori, con tutto ciò che ne consegue, per evitare di essere esautorati dal loro ruolo di affidatario.

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