Il Pakistan chiude la crisi politica che andava avanti da giorni dopo la nomina a primo ministro del leader del partito che fino ad ora è stato all’opposizione, Shahbaz Sharif, 70 anni, fratello dell’ex premier Nowaz Sharif, che fu costretto alle dimissioni nel 2008 dopo essere stato travolto dalle accuse di corruzione per i Panama Papers. Restano alcune incognite, acuite anche dalla crisi economica che il Paese sta affrontando. Tra queste c’è anche cosa farà il premier appena decaduto Imran Khan che – accusato di aver spinto il suo Paese troppo vicino a Russia e Cina – dopo il voto di sfiducia ha di nuovo evocato il “complotto delle forze straniere” e additato gli Stati Uniti, come già aveva fatto quando le opposizioni erano pronte a votare la mozione di sfiducia (dall’approvazione certa). Un voto che Khan ha cercato di bloccare d’accordo con il vicepresidente dell’Assemblea legislativa e con il presidente della Repubblica Arif Alvi, ma che alla fine è stato solo rinviato. E’ stata infatti la Corte Suprema a ribaltare la situazione e permettere al Parlamento di procedere con la mozione: la decisione si è scontrata con le forti resistenze dello stesso Khan, che ha accettato di far svolgere il voto solo dopo le forti pressioni messe in campo dall’esercito (che nel Paese ha sempre una significativa voce in capitolo quando si tratta di formazione di governi) e dallo speaker Asad Qaiser, che ha preferito dimettersi piuttosto che prendere parte ad una presunta cospirazione straniera per rimuovere il premier.

Khan ora invoca la piazza e in alcune città i suoi sostenitori hanno già organizzato manifestazioni. Khan aveva vinto le elezioni nel 2018, grazie ad una piattaforma politica basata sulla lotta alla corruzione ed alla povertà. Le cose non sono andate per il verso giusto e le frustrazioni derivanti dalla cattiva gestione dell’economia, dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari e della benzina provocati da pandemia e dai cattivi rapporti con Washington hanno dato vita ad una crisi politica della quale Khan accusa gli Usa, toccando un nervo scoperto della società pachistana, permeata dall’anti-americanismo. Le relazioni tra gli Stati Uniti ed il Pakistan, discrete durante l’Amministrazione Trump, sono nettamente peggiorate sotto la presidenza Biden a causa delle vicende afghane e dell’opposizione manifestata da Khan al programma di uccisioni mirate portato avanti dai droni americani. Il Pakistan è stato alleato dell’Occidente per tutta la Guerra Fredda ma – dopo un avvicinamento progressivo a Pechino – Khan ha cercato di spostare Islamabad, con più decisione, nella sfera d’influenza cinese e russa: il premier era a Mosca, da Putin, quando la Russia dava l’inizio all’invasione dell’Ucraina e qui aveva affermato, con un certo compiacimento, “di aver scelto un ottimo momento per arrivare”.

Ora il nuovo premier Sharif – poco conosciuto all’estero ma ben considerato in patria come amministratore efficiente – ha detto che “il miglioramento delle relazioni con i Paesi amici è una delle mie priorità”. Tra quegli “amici” ci sono senz’altro gli Stati Uniti. Sharif ha buoni rapporti con l’esercito, che tradizionalmente detta la linea da seguire per quanto riguarda la politica estera e quella di difesa in una nazione dotata di armi nucleari. Ci si attende che Sharif – considerato comunque vicino alla Cina – abbia un atteggiamento più morbido nei confronti dell’India, con cui il Pakistan si è trovato a combattere in tre conflitti. Nel suo discorso di insediamento Sharif ha ringraziato Allah per aver “salvato il Paese: il bene ha prevalso sul male”. Il nuovo governo, che punta a rimanere in carica fino alla fine della legislatura, nell’ottobre del 2023, avrà il compito di fronteggiare la crisi economica, riformare la legge elettorale e tenere unita una coalizione eterogenea.

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