La rappresentazione della guerra crea spesso divisioni rigide tra parti in conflitto. La realtà però è più complessa di così e non ci sono solo “filorussi” e “filo-occidentali” in lotta tra loro, ma tante altre sfumature e moltissimi interessi economici e politici che si mischiano. “E’ una zona di guerra: il discorso politico tende a presentare fazioni nettamente contrapposte, omogenee al loro interno: noi e i nemici. Non è però così e ci sono differenze tra Crimea e Donbass, ma anche all’interno dei rispettivi territori e, soprattutto, nel Donbass” dice a ilfattoquotidiano.it Nicola Melloni, ricercatore e docente a Londra, Bologna e a Toronto, dopo il un PhD a Oxford. Melloni attualmente si occupa della relazione tra Stato e mercato e tra cambiamenti economici e politici.

Professor Melloni, nella “rivoluzione di Maidan” le proteste furono in buona parte composte da rivolte popolari contro un governo filo russo molto corrotto e autoritario. Rivolte anche piuttosto disomogenee, però dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e dopo le rivolte del Donbass la situazione si è polarizzata nettamente in senso geografico e politico. Come è avvenuto questo passaggio? Come è avvenuto che fosse tutto rapidamente semplificato all’interno dell’opposizione pro occidente/filo russi?
Le ragioni di questa polarizzazione, che è chiaramente una semplificazione, hanno delle radici storiche ed economiche. Sostanzialmente, qualcosa all’interno della dicotomia ha delle basi. Se consideriamo la parte più orientale dell’Ucraina dobbiamo ricordare che questa era la parte più ricca. Infatti, qui, durante il periodo sovietico, si era sviluppato il tessuto industriale del Paese, mentre la parte occidentale più povera si basava sulla produzione agricola. Il legame tra Ucraina orientale e Russia si è consolidato per fattori di interesse economico: la Russia vendeva all’Ucraina il gas a prezzo molto ridotto – rispetto, ad esempio, all’Europa – e questo serviva in maniera particolare per mantenere i prezzi della produzione industriale più bassi nell’Ucraina orientale.

Nondimeno va considerato che l’Ucraina è un territorio grande. Tanti studi economici rilevano l’importanza della prossimità per lo sviluppo di modelli di integrazione. Non è insolito che la parte più orientale si sia legata di più alle influenze russe e quella più occidentale a quelle europee. Mi riferisco alle influenze socioeconomiche ma anche a quelle linguistiche e culturali. Tuttavia, storicamente, le frizioni culturali e identitarie tra le due parti non si erano mai manifestate. Una maggiore polarizzazione si è creata dopo le tensioni del 2003-2004, quando dopo la vittoria di Viktor Janukovyč – più vicino alla Russia – vennero denunciati dei brogli elettorali e lo sfidante Viktor Juščenko – più legato all’Occidente – chiese ai suoi sostenitori di restare in piazza fino a che non fosse stata concessa la ripetizione della consultazione che, in effetti, lo vide vincitore. A partire da quel momento il processo politico di allontanamento dalla sfera di influenza russa si è acuito e le divisioni interne sono aumentate. Per esempio, ci sono stati dei tentativi governativi di vietare la lingua russa. Si capirà che, pur non essendo successo, in un Paese dove la componente russofona della popolazione è così diffusa questo ha creato dei problemi, soprattutto nella zona orientale e in termini di appartenenza e identità politica e culturale.

Concentriamoci sulla parte orientale. La società che abita questi territori è davvero completamente appiattita all’interno di uno schieramento filo russo? Ci sono qui espressioni di dissenso rispetto alla separazione dall’Ucraina? E rispetto al conflitto in corso?
Gli studi che approfondiscono questi temi sono pochi, soprattutto perché si tratta di una zona di guerra e non solo da un mese. Sempre perché è una zona di guerra, il discorso politico tende a presentare fazioni nettamente contrapposte, omogenee al loro interno: noi e i nemici. Non è però così e ci sono differenze tra Crimea e Donbass, ma anche all’interno dei rispettivi territori e, soprattutto, nel Donbass. Al momento dell’annessione della Crimea poche sono state le tensioni interne (tanto che i militari sul territorio passarono direttamente dalla parte dei russi). Questo ci può far pensare che la popolazione fosse per la maggior parte vicina alla Russia, per quanto il referendum sull’annessione sia stato perlopiù una farsa. Va inoltre detto che, storicamente, la Crimea era sempre stata territorio russo almeno fino a quando il presidente dell’Unione Sovietica, Nikita Cruschev, decretò il passaggio dell’oblast’ di Crimea dalla RSFS Russa alla RSS Ucraina, deciso dal Soviet Supremo dell’Unione Sovietica il 19 febbraio 1954.

In Donbass – che invece aveva sempre fatto parte della RSS Ucraina – la situazione si è sviluppata in modo diverso, meno militarmente diretto e più per pressioni. L’azione russa non è stata condotta dall’esercito ma da milizie assoldate e, poi, dai separatisti. Inizialmente i separatisti presero controllo di una fascia di territorio più ampia dell’attuale e poi furono ricacciati da parte della popolazione. In queste zone contese, perlopiù russofone e attaccate dai separatisti filo russi si sono manifestate profonde ostilità contro le istanze indipendentiste e contro le pressioni russe. Questo, tra l’altro, è un tema che decostruisce l’idea di una omogeneità nella parte orientale e che contraddice il binomio per cui russofoni uguale russofili. Nel Donbass esisteva ancora una certa dinamica e dialettica politica non necessariamente appiattita sull’indipendenza.

Dopo le rivolte del Donbass, da parte russa si è parlato sempre più in termini di autodifesa del “mondo russo”, contro un governo illegittimo, quello di Kyiv, che è manovrato dall’Occidente e terrorizza i russofoni. Tutti questi elementi sono parte dei fattori a giustificazione dell’invasione per Putin. Se osserviamo però meglio all’interno della società ucraina e anche della resistenza armata, c’è davvero una così evidente giustapposizione con l’Occidente? E se non torna l’equivalenza tra russofoni e russofili persino nella parte orientale dell’Ucraina, cosa possiamo dire della componente russofona che abita nelle zone più occidentali?
Anche in questo caso la situazione è complessa e proprio se guardiamo alle rivolte del 2014 e alla parte più a Ovest del territorio, possiamo osservare la presenza di frazioni più filo occidentali e altre più filo russe. Queste ultime spesso erano anche le stesse parti russofone della popolazione, ma ciò anche in reazione ai tentativi del nuovo governo di Kyiv di decretare illegale la lingua russa. Tuttavia, se pensiamo alle città attualmente più bombardate sono largamente quelle russofone e si capisce che i sentimenti nei confronti della Russia non possano essere positivi. Queste oscillazioni rispondono quindi a equilibri di potere politico e a interessi legati al territorio, molto più che a una questione linguistica o a sistemi di riferimento culturale e identitario. Un altro aspetto importante riguarda gli oligarchi: questi hanno un ruolo fortissimo nelle dinamiche politiche ucraine e alcuni hanno maggiori interessi in Russia, altri in Occidente. Ad esempio, quelli più legati all’industria metallurgica e carbonifera sono più vicini alla Russia e agiscono all’interno della zona orientale dell’Ucraina. Nella parte occidentale invece sono politicamente influenti gli oligarchi con interessi finanziari e nel campo delle telecomunicazioni, in stretto rapporto con l’Occidente. Questo ha portato anche a ingenti operazioni di costruzione di fedeltà e consenso più diretti o verso la Russia o verso il blocco euroatlantico. Tuttavia, gli oligarchi hanno interessi ma non hanno patria, quindi anche questi schieramenti non sono rigidi e fissi, cambiano, interagiscono e sono continuamente rinegoziabili.

Un altro argomento molto utilizzato da Putin – che continua a definire la guerra in corso come “operazione speciale” – è quello della cosiddetta “denazificazione” dell’Ucraina, in mano al giogo occidentale. Questa retorica, inseribile all’interno della più ampia narrazione anti occidentale, implica letteralmente una “nazificazione”. Qual è stato il ruolo dei gruppi neonazisti da Maidan a oggi? È stato esponenzialmente crescente, come emergerebbe da una lettura letterale del discorso putiniano? Qual è il rapporto tra questi gruppi e la società ucraina?
Mi sembra che questo discorso ruoti intorno a due miti che hanno dell’assurdo: da un lato l’idea della “denazificazione” e quindi di una società ucraina nazista; dall’altro il discorso opposto, portato avanti da diversi analisti, che sminuiscono il peso sociale e politico dei gruppi neonazisti ucraini, in relazione al loro scarso peso percentuale in termini elettorali. Anzitutto, la società ucraina non è una società nazista e basti sottolineare l’assenza di strutture di potere politico e sociale naziste e la presenza di elezioni relativamente competitive. Poi, per quanto riguarda i gruppi neonazisti va fatto un discorso un po’ più complesso. Questi, effettivamente, non hanno mai avuto gran peso elettorale, ma ciò ha poca rilevanza all’interno di un sistema democratico così debole. Nondimeno, tali organizzazioni – piccole ma ben organizzate e motivate – sono state determinanti nel rovesciamento di governo nel 2014, in maniera completamente sproporzionata rispetto alle loro dimensioni, che non sono cresciute ma sono rimaste grossomodo stabili. Va poi detto che, se anche la pervasività dei gruppi in sé nella società ucraina è relativa, lo stesso non vale per alcune influenze che esercitano o che potrebbero esercitare. Per prima cosa, il fatto che parte di questi gruppi siano stati integrati nell’esercito ufficiale può essere presentato come tentativo di istituzionalizzazione ma, cionondimeno, esiste anche il rischio di una loro normalizzazione.

Mi preme sottolineare che, in un momento in cui tutti ci diciamo preoccupati della vittoria di Orban in Ungheria e del crescente consenso verso forze di estrema destra, si dovrebbe considerare con maggiore attenzione il peso che potrebbe avere il battaglione Azov, il suo riconoscimento nelle forze armate ucraine e il ruolo che sta assumendo nella guerra: le idee che vengono portate avanti durante una resistenza fanno la differenza rispetto alla società che verrà costruita in futuro. Infine, il problema dell’influenza agisce molto in ambiti culturalmente dirimenti: non esiste, infatti, alcun Paese in Europa che glorifichi collaborazionisti filonazisti come nel caso di Stepan Bandera. La figura di Bandera è stata assunta a mito fondativo nazionale trasversale, tanto dai neonazisti quanto dal parlamento di Kyiv. La costruzione della rappresentazione di questo personaggio, non più come collaborazionista filonazista ma come eroe nazionalista, difensore della nazionalità ucraina contro l’Unione Sovietica, è stata coltivata dalle élite al potere in funzione anti russa e per creare miti fondativi comuni per la popolazione ucraina. È un mito che nasconde interessi e crea egemonia diffusa, dicendoci molto delle forze nazionaliste che attraversano un territorio al centro dei giochi di potere e degli equilibri geopolitici di altri Paesi.

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