Marina descrive la Russia di questi giorni come un Paese diviso. Lei, per esempio, è contro la guerra. I suoi genitori, invece, sono orgogliosi dell’Armata russa. “I miei credono alla versione ufficiale: il nostro Paese sta conducendo non una guerra, ma una campagna di denazificazione in Ucraina.” Lei, imprenditrice moscovita di 45 anni, ha mostrato loro le foto e i video della tragedia di Mariupol, ma non è riuscita a convincerli. “Mi hanno detto che ero vittima della propaganda Occidentale e che quelle immagini non erano vere. Ora quando li vado a trovare gli chiedo di spegnere la tv e non parliamo di guerra”. Una situazione, questa che fa sentire Marina come “in un mondo parallelo a quello di molti miei concittadini”.

Anche i genitori di Vadim sono orgogliosi dell’esercito che salva donne, uomini e bambini dalle mani dei “nazisti drogati”: “Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è ebreo. ‘Di quali nazisti parlate?’ Gli ho chiesto l’altro giorno. Mi hanno guardato con occhi interrogativi. E ho capito che la propaganda che passa la tv è troppo forte”. Vadim, un designer moscovita di 39 anni, come Marina, ha smesso di discutere di guerra con i genitori. “A volte mi chiedo se credere alla versione ufficiale non sia un modo per preservare la salute mentale. È difficile digerire quello che il nostro Paese sta facendo in Ucraina. Lo è almeno per me. Invidio quelli che si bevono la versione ufficiale. Loro almeno dormono bene, io no”.

In un recente reportage da Mariupol, il corrispondente del Primo Canale ha descritto gli attacchi sulla popolazione civile sostenendo che siano opera dei nazisti ucraini e non delle forze militari russe. Sono stati loro, i nazisti, a distruggere la città, racconta. I russi sono lì per aiutare la popolazione civile. E alcune immagini mostrano i soldati russi che consegnano sorridenti alla gente aiuti umanitari. Le scatole che li contengono sono contrassegnate dalla lettera Z, il triste simbolo del sostegno all’invasione in Ucraina. Il giornalista entra poi in un ospedale. Intervista i feriti. Tutti vittime del fuoco nazista ucraino. La bravura del giornalista è incredibile: sembra che anche lui creda alla fiction che racconta.

Il 28 marzo, Dmitry Muratov, il direttore dell’indipendente Novaya Gazeta, ha detto che il giornale ha deciso di sospendere le pubblicazioni. O almeno non lo farà fino a quando ci sarà la guerra. Anche il sito e i social non saranno aggiornati. Novaya Gazeta ha ricevuto due avvertimenti dall’organo di censura e ha preferito fermarsi e aspettare tempi migliori piuttosto che perdere la licenza. Nel comunicato che annuncia i motivi della decisione, Muratov, come Marina e Vadim, parla di divisione tra i russi. “[Nei nostri articoli] abbiamo valutato perdite e distruzione. Abbiamo cercato di capire come il nostro popolo avesse potuto accettare due guerre in contemporanea, una aggressiva in Ucraina e una guerra quasi civile in Russia, a casa nostra. La divisione è passata attraverso le persone e le famiglie”. Novaya Gazeta, nata nel 1993, si è sempre distinta per le inchieste approfondite sulla corruzione o sulla guerra in Cecenia. Un coraggio che ha pagato caro: cinque giornalisti del giornale sono stati uccisi o sono morti in circostanze sospette durante il regime di Vladimir Putin.

Secondo i servizi di statistica controllati dallo Stato, più del 70% dei russi appoggia la guerra in Ucraina. Gli esperti però mettono in dubbio questi dati: non ci sono stime indipendenti e la popolazione ha troppa paura per rispondere sinceramente alle domande dei sondaggisti. “Questa guerra ci sta rendendo nemici, ho paura di chiunque, come in tempo sovietico. È come vivere in un incubo, siamo ritornati agli anni Novanta e il presidente è Stalin,” osserva Marina.

I russi ricordano con orrore gli anni caratterizzati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un passaggio doloroso durante il quale hanno visto i loro risparmi volatilizzarsi a causa dell’inflazione. È in quegli anni che la Russia è diventata un paese fuori dalla portata della maggior parte dei suoi abitanti. Quello che in tempo sovietico era uno stipendio decente, poche settimane dopo il crollo dell’Unione è diventato appena sufficiente per comprare un chilo di formaggio. “Mai avrei pensato di rivivere quegli anni terribili. Ora ho però la sensazione che, in confronto a questo 2022, gli anni Novanta ci sembreranno meravigliosi”, aggiunge Marina secondo la quale Putin in un mese ha distrutto l’Ucraina, un Paese che lei ama, e l’economia in Russia. Il peso delle dure sanzioni imposte dall’Occidente inizia a farsi sentire. Marina e Vadim si lamentano di non riuscire più a ordinare materiali dai fornitori occidentali. Ne hanno a sufficienza per qualche settimana. Poi dovranno trovare una soluzione.

Tra Putin e il popolo c’era una sorta di patto non scritto: “Voi sopportate il mio autoritarismo e io in cambio vi assicuro benessere”. Durante il regime putiniano in televisione i cosiddetti “likhie devyanosti,” i maledetti anni Novanta, sono spesso contrapposti ai fantastici “krutye nulevye,” gli stabili anni Duemila dell’era Putin. “Ora non abbiamo né democrazia né benessere. Le sanzioni iniziano a cambiare la vita della popolazione. La propaganda può nascondere la guerra, ma non il fatto che dai supermercati stanno scomparendo una serie di prodotti a cui tutti ci siamo abituati”.

Il politologo Stanislav Belkosvky, in una recente intervista con Alexei Venediktov, l’ex caporedattore della radio Ekho Moskvy, ha detto che non sarà facile per la gente tornare indietro. I russi dei tempi di Stalin avevano conosciuto solo povertà e repressione. Oggi, invece, sanno cos’è il benessere. Hanno viaggiato in Europa, in America. “Hanno provato la libertà e non ci rinunceranno”, ha detto Belkovsky. La radio indipendente Ekho Moskvy è stata chiusa dal Cremlino dopo l’inizio della guerra. I giornalisti di Ekho continuano a lavorare postando interviste su YouTube o su diversi canali Telegram. Hanno deciso di non tacere nonostante il Cremlino abbia approvato una legge che prevede fino a 15 anni di carcere o multe salate per chi “diffonde notizie false” sui militari, o sugli organismi statali russi operanti all’estero.

Marina osserva che la vita cambierà per quelli che come lei e Vadim hanno molto da perdere, ma non per tanti abitanti delle provincie: erano poveri e continueranno a rimanere poveri. Vadim racconta una barzelletta che gira a Mosca in questi giorni: “Se hai perso tutte le speranze, pensa alle aragoste che erano nell’acquario del Titanic”. Le barzellette sono sempre state un modo in Russia per sdrammatizzare anche le situazioni più tragiche. Come una guerra.

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