È morta la mattina del 19 marzo Samantha D’Incà, la 30enne bellunese in stato vegetativo dal 4 dicembre 2020 per gli effetti di un’infezione contratta in ospedale dopo l’intervento chirurgico per una frattura al femore causata da una caduta. La situazione della giovane si è aggravata sino a consigliare ai medici la sospensione dei supporti che la tenevano in vita per evitare l’accanimento terapeutico, con la somministrazione di cure palliative terminali.

La famiglia aveva chiesto mesi fa il distacco della nutrizione assistita sostenendo che sarebbe stata questa la volontà di Samantha, una richiesta che aveva imposto la vicenda all’attenzione delle cronache per la coincidente campagna di raccolta firme del referendum sull’eutanasia, poi dichiarato inammissibile.

La drammatica vicenda di Samantha tuttavia non si presta a strumentalizzazioni per i suoi elementi di fatto: la giovane non aveva lasciato volontà documentate di fine vita, dunque non era applicabile la recente legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento che richiede la certificazione dell’effettivo volere del paziente, in mancanza del quale la responsabilità secondo l’ordinamento italiano spetta all’amministratore di sostegno. Il padre di Samantha, Giorgio, era stato riconosciuto tale dal Tribunale di Belluno il 10 novembre 2021. L’aggravarsi delle condizioni della figlia, ricoverata in una casa di cura privata a Cavarzano, nel Bellunese, ha condotto a una scelta clinica inevitabile, che fa parte dei diritti costituzionali di tutti i cittadini, come la sospensione delle cure.

La conferma che questa è la ricostruzione obiettiva dei fatti arriva da mamma Genzianella, che ha riferito al Corriere delle Alpi, quotidiano del Bellunese, che Samantha venerdì 11 marzo ha avuto “un crollo molto forte”, poi tra il mercoledì e il giovedì successivi il quadro clinico si è ulteriormente aggravato. Solo di fronte a questa situazione ormai gravissima si è deciso di ricorrere alla sedazione profonda e alla procedura di distacco dei supporti vitali, com’è prassi clinica in situazioni tanto estreme. “Nell’ultimo periodo era un peggioramento continuo – ha aggiunto la madre – Si è spenta senza soffrire, come una candela”.

Ancora una vicenda che mette in evidenza la necessità di approvare la legge sul fine vita, che continua il suo percorso in Parlamento ma con una lentezza vergognosa che non tiene conto dei tanti drammi come quello di Samantha e malgrado l’impegno costante della Associazione Luca Coscioni, protagonista da sempre della battaglia per l’eutanasia.

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