Nessuna trattativa ma più armi, più guerra, più spese militari. Sui giornali e i social si moltiplicano gli editorialisti che tifano in modo aperto – e con malcelata eccitazione – per un conflitto totale tra Occidente e Russia, nonostante il rischio concretissimo di una degenerazione nucleare. Il più attivo è Jacopo Iacoboni, nota firma politica della Stampa, che sgancia decine di tweet al giorno in cui predica il verbo dell’interventismo facendo leva – soprattutto – sull’indignazione istintiva per l’offensiva russa contro i civili: “Fanno questo. Distruggono le case per bambini. “Eh ma bisogna trattare con Putin””, scrive ritwittando le foto di una struttura per l’infanzia distrutta. E poi, ovviamente, l’attacco al teatro di Mariupol: “Oggi chi facciamo sedere al tavolo delle trattative, il militare che ha bombardato il teatro pieno di civili oppure direttamente il Criminale in chief? Gli stringiamo anche la mano, prima di sedercisi?”. Un artificio retorico molto facile che però lascia da parte la realtà dei fatti: il peso geopolitico e militare della Russia è tale che l’alternativa al dialogo può essere solo la Terza guerra mondiale. È la stessa retorica che Iacoboni usa in un tweet precedente, in cui arringa così i follower: “Ma tutta questa gente, voleva trattare anche con Milosevic, Mladic, Karadzic, Ceausescu? Quanto dobbiamo aspettare ancora per trattare da criminale internazionale un criminale? Abbiamo tutto: i soldi, la forza economica, le istituzioni politiche, le armi. Tutto tranne i valori”. Anche qui, però, è difficile non notare lo squilibrio tra i “piccoli” dittatori militari citati da Iacoboni e il colosso russo. Poi posta incredulo un sondaggio che mostra come il 55% degli italiani sia contrario all’invio di armi in Ucraina: “Siamo un Paese culturalmente devastato”, commenta.

“Putin sta perdendo la guerra” – Dal suo osservatorio privilegiato, poi, il giornalista twittarolo assicura che anche le aperture al dialogo di Mosca sono un bluff: “Nessun compromesso è possibile sulla pelle dei civili ucraini massacrati, e le trattative sono farlocche“, sentenzia. Ma soprattutto – e non è il solo – si dice certo che l’esercito russo stia perdendo la guerra: “Putin non prenderà mai l’Ucraina, mi è sempre più chiaro”, twitta all’improvviso. Ecco le conseguenze, elencate non senza una certa esaltazione: “Militarmente, la Russia sta per perdere la guerra. Putin può reagire così: 1. Massicci bombardamenti aerei che rendono la difesa aerea Usa così vitale. 2. Armi chimiche: gli Usa devono rispondere 3. Armi nucleari tattiche: gli Usa devono dire che faremo lo stesso, ma molto peggio”. Anche Gianni Riotta è sicuro: “Sul piano militare Putin è fermo a Kiev e Karkhiv, logistica impantanata, truppe demoralizzate, solo salve cieche di missili contro i civili. Fonti Usa segnalano forte attività cyberwar contro le comunicazioni russe, che rallenta i movimenti sul campo”.

Il Fubini-pensiero: “Le sanzioni non bastano” – Un capitolo a parte lo merita Federico Fubini del Corriere, che già il 10 marzo twittava: “Malgrado i pacifisti tacitiani di casa nostra che non vogliono aiutare l’Ucraina, Putin questa guerra la sta perdendo. I pacifisti tacitiani d’Italia a cui piace pensare che Putin abbia già vinto, dunque l’Ucraina va abbandonata a lui, aprano gli occhi sulla realtà”. D’altra parte, spiega al suo pubblico, “una dittatura non cade mai per le sole sanzioni“: “Ciò che caratterizza le dittature è la violenza. I dittatori la usano come strumento di governo all’interno, poi lo applicano anche all’estero. È il solo che riconoscono, è la natura del sistema. Perciò purtroppo potrebbe servire una sconfitta in guerra per far cadere Putin”. Poi lo sberleffo ai pacifisti: “In Italia è stato detto, ridetto: non armiamo l’Ucraina perché si prolunga l’agonia di una guerra persa. “Diamo a Putin ciò che vuole o se lo prenderà”. Ora Putin (secondo Fubini, ndr) negozia una via d’uscita dall’Ucraina perché ha capito di non poter vincere. La dignità è davvero tutto nella vita”. E Riotta, confortato nelle proprie tesi, gli risponde con una strana accozzaglia di neologismi: “Ma è Putin mica um geopolitiko Kacciarian Talkshoista #Putinversteher de noantri” (sic). Il riferimento, pare, è al suo poco fortunato pezzo su Repubblica in cui stilava la lista di proscrizione degli “amici di Putin” italiani, basandola (falsamente) su uno studio americano.

A tifare guerra d’altra parte è tutto il panorama liberal-atlantista della stampa nostrana. Ecco Luciano Capone del Foglio: “Se la tesi è che non si deve rispondere militarmente perché la Russia minaccia l’uso delle armi nucleari e pertanto l’Ucraina deve arrendersi, la stessa logica va applicata a qualsiasi altro stato. In pratica Putin può invadere il mondo, per lui l’unico limite è la sua volontà”, twitta tagliando la geopolitica con l’accetta. E non serve a nulla il più saggio commento di Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia (non certo un antimilitarista): “Perché non continuate a fare i giornalisti e lasciate decidere cosa fare dal punto di vista militare a chi conosce il nemico, i rischi, gli assetti, le probabilità, i rischi, i vantaggi, perché se ne occupa da una vita? Parlare di intervento militare è cosa per professionisti“. E chiosa: “Comunque aspetto te e gli intrepidi che ti seguono sul campo di battaglia“.

I tifosi della no-fly zone – Un altro feticcio del fight club è la no-fly zone che il presidente Volodymyr Zelensky chiede alla Nato di imporre sui cieli ucraini: una svolta che implicherebbe la necessità di abbattere gli aerei militari russi e quindi, di fatto, lo scontro diretto con Putin. Acqua fresca per i guerrafondai di Twitter: “Quello che penso della situazione in Ucraina oggi può essere sintetizzato in tre parole: no fly zone”, scrive Filippo Sensi, deputato del Pd ed ex portavoce di Renzi. Mentre sui giornali, dopo l’ordine del giorno votato dalla Camera per l’aumento delle spese militari, festeggiano gli editorialisti: “Con la guerra che investe l’Europa e rischia di lambire i nostri confini nazionali”, Camera e Senato “hanno dato un segnale chiaro. L’aumento delle spese militari è da tempo un obiettivo dell’alleanza occidentale e il conflitto in Ucraina sembra aver incrinato le vecchie resistenze“, commenta Stefano Folli su Repubblica. “Il due per cento di spese per l’apparato militare, sia pure come obiettivo a medio termine, cambia la percezione esterna non solo della Nato, ma della stessa Unione europea”, esulta. Ma è il titolo in maiuscolo a sei colonne del Foglio a dare il senso dell’eccitazione del club atlantista: “Armi contro il criminale di guerra“. E ancora in prima pagina si celebra “la rottura di un tabù non scontato”, che “dà il senso di una svolta avvenuta”, grazie “all’asse Roma-Berlino“. Speriamo che non porti male.

Articolo Successivo

Putin tenta le sue ‘purghe’ per rispondere alla guerra social (già vinta da Zelensky): ma è inutile

next