Quella che conosciamo come “Festa della donna” è, in realtà, una Giornata di riflessione sulle lotte passate e sulle conquiste politiche, sociali, economiche del genere femminile, ma anche sulle discriminazioni e le disparità con cui ogni giorno ci confrontiamo. Come la violenza contro le donne e il divario salariale rispetto agli uomini.

La storia della festa delle donne risale ai primi del Novecento e affonda le prime radici nel VII Congresso della seconda internazionale socialista svoltosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907. In quell’occasione, la risoluzione finale impegnava tutti i partiti a “lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne”. In poco tempo al diritto di voto si affiancarono altre rivendicazioni: su tutte quelle relative alle discriminazioni sessuali e allo sfruttamento delle operaie sul luogo di lavoro, in termini di salario percepito e di orari di lavoro richiesti.

Il secondo tassello della futura “Festa della donna” fu posto il 23 febbraio 1909, quando negli Stati Uniti si tenne la “Giornata della donna”. L’idea piacque e durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste di Copenaghen del 26-27 agosto 1910, fu approvata l’istituzione a livello mondiale di una giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Negli anni successivi, fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, sono state poi organizzate molte altre giornate dedicate alla parità di genere. Possiamo proprio dire che la Festa della donna ha origine grazie a questi movimenti femminili politici di rivendicazione dei diritti delle donne di inizio Novecento.

In Italia la prima giornata della donna si è svolta nel 1922, ma il 12 marzo e non l’8.
Solo nel 1944, dopo l’istituzione a Roma dell’Udi, Unione Donne Italiane, si è deciso di celebrare l’8 marzo la giornata della donna nelle zone liberate dell’Italia, introducendo la mimosa come simbolo di questa giornata, perché fiore di stagione ma soprattutto poco costoso.

Come ultimo tassello, il 16 dicembre 1977 l’Onu ha istituito la “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle donne e per la pace internazionale”, da tenersi l’8 marzo di ogni anno per ricordare il ruolo della donna negli sforzi di pace e per sottolineare la necessità di porre fine a ogni tipo di discriminazione. In questo modo vennero recepiti a livello mondiale anni di lotte e conquiste.

La Giornata di oggi ricade, invece, in un periodo di guerra. O meglio, di guerre nel mondo.

In Siria dove il conflitto, giunto al suo undicesimo anno, ha causato centinaia di migliaia di morti, sfollamenti di massa, distruzione di infrastrutture civili e di vite di bambini e bambine che non hanno conosciuto altro che la guerra.

In Afghanistan che, dopo 20 anni di guerra è ripiombato nelle mani dei talebani, diventando un vero inferno per le donne, ridotte, secondo l’interpretazione degli studenti coranici, a esseri create per adempiere il compito della riproduzione, schiave di padri e padroni. A loro è vietato frequentare la scuola, lavorare nel settore pubblico, ricoprire posizioni di governo. Non possono compiere viaggi su strada se non accompagnate da un parente stretto, ovviamente di sesso maschile. Devono indossare un “hijab” integrale che copra il volto e testa. Non possono fare sport, sentire musica, vestirsi come vogliono.
Sono state completamente rimosse da qualsiasi ambito della vita, imprigionate in un contesto misogino e criminale.

In Etiopia una guerra poco raccontata, in cui odio etnico e violenza sulle donne si mescolano. Dove lo stupro è arma di guerra e chi ne è vittima è colpita due volte, dalla ferocia dell’assalto e dallo stigma sociale.

In Ucraina, una guerra accesa da Putin nel cuore dell’Europa e che dal 2014 ha già provocato migliaia di morti e un esodo di milioni di civili. In tutti questi contesti le donne hanno mostrato la loro forza e determinazione. Tante costrette a separarsi dai loro affetti, ad abbandonare casa e lavoro, costruiti in tanto tempo e con tanta fatica, a portare, da sole, i figli nel nulla, con la speranza di poter far ritorno, un giorno, nel proprio Paese. Altre in campo ad imbracciare le armi per combattere.

Le guerre portano sofferenza, morte e distruzione. Annullano le conquiste ottenute in tema di diritti umani e intensificano le disuguaglianze sociali e di genere. Per questo è necessario ricordare, in questo 8 marzo, che le donne non possono essere ignorate e a tutte devono essere riconosciuti diritti fondamentali: quello di non essere ammazzate, di non aver paura camminando per strada, di decidere per il proprio corpo, di avere pari opportunità lavorative, di non scegliere tra l’essere madri o l’avere una carriera, di essere rispettate, di partecipare ai processi di pace.

È tempo di dire basta e cominciare un’altra storia.
In questo 8 marzo auspico non mimose ma più diritti e soprattutto pace.

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