Con i suoi cinque miliardi e mezzo in buona parte già spesi senza che i cantieri siano chiusi a 19 anni dalla posa della prima pietra, il sistema Mose è nel mirino della Corte dei Conti. È un osservato speciale a causa dei ritardi, delle criticità e della mancata manutenzione, tutti elementi che – miscelati con gli scandali, un eccesso di burocrazia e l’inconcludenza realizzativa – ne fanno la più grande delle incompiute, nonostante la nomina di commissari che avrebbero dovuto velocizzarne la conclusione.

Il severo richiamo è venuto, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario dei giudici contabili veneti. “La Procura sta indagando su possibili inerzie derivanti dalla mancata manutenzione del Mose. Ci sono procedimenti aperti per verificare possibili illiceità contabili che hanno portato al mancato completamento dei lavori” ha detto il procuratore regionale Ugo Montella. Ha spiegato che l’analisi della regolarità dell’intervento per le dighe mobili che dovrebbero salvare Venezia dall’acqua alta può contare sulla collaborazione “delle diverse anime della Corte”, ovvero la sezione di controllo e quella giurisdizionale. La prima, ha spiegato il procuratore, “sta monitorando la situazione anno per anno, ma è un lavoro molto complesso, con responsabilità diffuse a molteplici livelli”.

In modo particolare sono in corso approfondimenti sulla lievitazione dei costi di un’opera che si sono moltiplicati negli anni. Nel mirino ci sono anche i ritardi senza giustificazioni nel completamento, dal momento che i finanziamenti per il Mose ci sono, anche se gli arresti del 2014 hanno pesato sulla continuità progettuale e attuativa. Infine i giudici vogliono verificare quanto la mancata manutenzione abbia portato alla necessità di nuove e più impegnative spese in futuro. Basti pensare che le 78 paratoie (più 8 di riserva), che sono adagiate sul fondo della laguna, dovrebbero essere periodicamente smontate e portate in un cantiere per la pulitura, la verniciatura e il controllo di eventuali danni. Questo non è mai stato fatto, anche se l’affondamento della prima paratoia (alla Bocca del Lido) risale ormai al 2013. Le prime, quindi, sono in acqua da quasi nove anni senza che vi sia stata manutenzione.

La prova di quanto sia complesso il lavoro di verifica deriva anche dalla stratificazione dei soggetti che si sono succeduti nel tempo. Dapprima c’era il Consorzio Venezia Nuova, costituito da grandi imprese italiane, che sono però state travolte dallo scandalo e sono da tempo in crisi. Nel 2014 arrivarono i commissari pubblici, di nomina del prefetto di Roma, ma in realtà designati dall’Anac, l’Autorità anticorruzione, per riportare trasparenza. Nel 2019 è cominciata la stagione dei commissari. Prima Elisabetta Spitz, commissaria straordinaria delegata al completamento dell’opera, che avrebbe dovuto accelerare i lavori. Poi il commissario liquidatore Massimo Miani, nominato nel 2020, che ha raggiunto un accordo con i creditori per uscire dal concordato. Adesso è riuscito in extremis ed evitare il fallimento del Consorzio, anche se ciò ha comportato una specie di sanatoria rispetto alle colpe del passato. Nel frattempo però i cantieri si sono completamente bloccati, anche se le barriere sono state alzate sia nel 2020 che nel 2021 preservando in più occasioni Venezia dall’acqua alta, nonostante l’opera sia ancora lontana dal collaudo che non dovrebbe avvenire prima di 3-4 anni.

Maria Elisabetta Locci, presidente della sezione di controllo, ha ricordato come nel 2020 sia stato approvato il controllo-referto sulla salvaguardia della laguna di Venezia e sullo stato di esecuzione del Mose, nonché del piano di gestione e di avviamento. Durante il 2021, ha detto, “è stata espletata l’istruttoria in relazione alle misure consequenziali adottate, che verrà compendiata in apposite relazioni in corso di stesura”.

Il procuratore Montella ha confermato come siano giunte all’epilogo tutte le sentenze di condanna per le persone coinvolte nello scandalo del 2014: “L’impegno è anche quello di monitorare l’effettiva riscossione delle ingenti somme oggetto di condanna, superiori a 5 milioni di euro, in collaborazione con la Guardia di finanza”.

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