Il Senato ha deciso di trascinare la procura di Firenze davanti alla corte Costituzionale per un presunto conflitto d’attribuzione di poteri. A parte i 5 stelle e Leu hanno tutti votato a favore della relazione che dà ragione a Matteo Renzi per il caso Open. I voti favorevoli alla relazione sono stati 167, i contrari 76, nessun astenuto tra i 244 presenti. Pure il Pd si è schierato col centrodestra e con Italia viva e dunque contro i magistrati, ignorando tutta una serie di sentenze della Cassazione che fanno a pezzi la relazione a favore di Renzi.

Il dibattito al Senato – A Palazzo Madama, però, il dibattito non è mai entrato nel merito della questione, che è puramente giuridica. I senatori, a cominciare da Renzi, hanno preferito divagare, discutendo di principi costituzionali che hanno poco a che vedere con la vicenda. Pure quando il leader d’Italia viva ha citato alcune sentenze della Suprema corte si è trattato di decisioni che nulla c’entrano col caso all’ordine del giorno. Il riferimento di Renzi, infatti, era agli annullamenti dei sequestri a carico di Marco Carrai : una questione molto diversa da quella che si discuteva in aula e che è legata ai messaggi scambiati su Whatsapp dall’imprenditore Vincenzo Manes e lo stesso Renzi, cioè l’ormai noto scambio di messaggi in cui si parla del volo Roma-Washington da 135mila euro pagato dalla fondazione Open. Lo ha fatto notare Pietro Grasso, che da ex magistrato è sembrato l’unico a capire l’oggetto del contendere. “La relazione considera l’acquisizione dei messaggi come sequestro di corrispondenza e conclude che occorre in ogni caso l’autorizzazione preventiva. Vorrei che l’aula comprendesse l’abnormità di tale pretesa“, ha detto l’ex presidente del Senato, facendo un esempio degli effetti che potrebbe avere una decisione simile: “Basterebbe che in un telefono sequestrato ad un mafioso vi fosse un whatsapp a un parlamentare per determinarne l’inutilizzabilità anche nei confronti del mafioso”.

Il caso: le chat sul voto in Usa – La votazione di oggi è l’ultimo atto di una vicenda cominciata il 7 ottobre scorso, quando lo stesso Renzi aveva scritto alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, chiedendo di tutelare le proprie “prerogative costituzionali” che considerava violate dai pm di Firenze. L’oggetto della richiesta è lo stesso della denuncia contro i magistrati toscani inoltrata dal leader d’Italia viva alla procura di Genova, poche ore dopo aver appreso della richiesta di rinvio a giudizio ai suoi danni nell’inchiesta sulla fondazione Open. Secondo l’ex segretario del Pd le chat il sequestro del cellulare di Manes, che conteneva lo scambio di messaggi con lui, viola le sue guarantigie parlamentari. Per Renzi, insomma, i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione preventiva al Senato prima di sequestrare il telefono di persone non coperte dall’immunità parlamentare che hanno avuto scambi con lui. Questo perché secondo il capo d’Italia viva quei messaggi rappresentano una forma di corrispondenza. E per sequestrare la corrispondenza dei parlamentari serve l’ok della Camera di appartenza. Una tesi sposata dalla berlusconiana Fiammetta Modena, relatrice del caso che nella sua relazione ha scritto: “Ritenendo che il messaggio scritto su Whatsapp rientri pleno iure nel concetto di ‘corrispondenza‘, appare illegittimo il sequestro dello stesso senza una preventiva autorizzazione del Senato”. La relazione era stata approvata dalla Giunta per le Immunità con i voti del centrodestra e Italia viva mentre Pd e M5s si erano astenuti: oggi invece i due partiti alleati hanno votato in modo opposto.

Le sentenze della Cassazione che smentiscono la relazione pro Renzi – Il principio enunciato da Renzi e condiviso da Modena – le chat Whatsapp equivalgono a corrispondenza – è stato smentito più volte negli ultimi anni dalla Cassazione: in una serie di sentenze i giudici hanno spiegato che i messaggi Whatsapp rinvenuti in un telefono cellulare non rientrano nel concetto di “corrispondenza“. L’ultima volta lo hanno fatto con la sentenza numero 1822 del 17 gennaio 2020. La vicenda riguardava un piccolo spacciatore di stupefacenti, condannato sulla base di una serie di elementi: tra questi anche i messaggi sul cellulare, scambiati con potenziali acquirenti. La difesa aveva fatto ricorso, appellandosi alla violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza. La sesta sezione penale della Cassazione aveva rigettato quell’eccezione, come già aveva fatto la corte d’Appello, spiegando di aver fatto “ineccepibile applicazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice secondo cui i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagato (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p., di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace nè alle regole stabilite per la corrispondenza, nè tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche“.

L’intervento di Renzi – Di cosa ha discusso il Senato dunque? E perché nonostante esistessero queste sentenze della Suprema corte, Palazzo Madama ha deciso praticamente d’ignorarle? Semplicemente perché la discussione in aula ha riguardato soprattutto altro. Renzi ha chiesto la parola, intervenendo per circa venti minuti, per tornare ad accusare i magistrati e giornalisti. “Abbiamo deI pm che si ritengono depositari di una verità fattuale, sostituti della politica, ispiratori dei commenti sui giornali e addirittura padri e madri costituenti pronti a disattendere il dettato costituzionale”, ha detto il leader d’Italia viva. Prima di prendersela con i media: “Noi difendiamo la libertà dell’informazione, ma non può vederci silenziosi davanti a una velina del procura che vale di più di una sentenza della Cassazione. Non è pensabile che notizie prive di rilevanza penale vengano pubblicate in prima pagina. Se la stampa cede il ruolo di guardiano democratico il populismo vince anche per la mancanza di responsabilità da parte della stampa”. Renzi ha negato di voler scappare dal processo e ha insistito sempre sullo stesso punto: le sue guarantigie parlamentari che sarebbero state violate. A sostegno della sua tesi ha citato pure lui alcune sentenze della Cassazione. Non quelle che riguardano la natura delle chat Whatsapp, ovviamente, ma quelle che hanno ordinato l’annullamento dei sequestri a carico del suo amico Marco Carrai: pronunce che col suo caso non c’entrano nulla. “La domanda è se l’art.68 della Costituzione è ancora in vigore o no. O quanto meno se vale per i pm fiorentini. Si parla di carte acquisite illegittimamente e lo dice la corte di Cassazione con 5 sentenze che hanno annullato i provvedimenti richiesti dalla procura di Firenze. La Cassazione che sono stati illegittimamente acquisti documenti, che non andavano acquisti e per 5 volte la Cassazione ha stabilito che i pm hanno agito in modo illegittimo”, ha detto il leader d’Italia viva. Che poi ha chiamato in causa i colleghi: “Oggi non parliamo di me, parliamo di noi, di voi. Non parliamo di Leopolda, ma del Senato”.

Grasso: “Se un mafioso parla con un parlamentare il suo telefono non si può sequestrare” – A centrare il punto della questione, invece, è stato Grasso. “La relazione considera l’acquisizione dei messaggi come sequestro di corrispondenza, e conclude ‘che occorre in ogni caso l’autorizzazione preventiva a prescindere dalla circostanza dell’utilizzo o meno di tali prove nei confronti del parlamentare e a prescindere che il sequestro avvenga verso terzi. Vorrei che l’aula comprendesse l’abnormità di tale pretesa, proprio per l’imprevedibilità ex-ante dell’esistenza del dato riferibile al parlamentare. L’autorità giudiziaria non potrebbe, neanche volendo, munirsi preventivamente dell’autorizzazione della Camera di appartenenza”, ha spiegato l’ex presidente del Senato. “Inoltre i documenti, pur legittimamente sequestrati a un terzo, per la mancanza di autorizzazione preventiva risulterebbero inutilizzabili anche nei suoi confronti, estendendo di fatto le prerogative parlamentari anche ai non parlamentari. Basterebbe che in un telefono sequestrato ad un mafioso vi fosse un whatsapp a un parlamentare per determinarne l’inutilizzabilità anche nei confronti del mafioso”. Grasso ha spiegato perché secondo lui non ci sono i presupposti per sollevare un conflitto di attribuzioni come prevede la relazione: “Non ci può essere materia di conflitto tra poteri perché il Pm non può avere abusato di una norma che non c’è, così come il Senato non può pretendere un’autorizzazione preventiva non prevista dalla Legge per un sequestro presso terzi, e nemmeno una applicazione analogica della disciplina delle intercettazioni indirette in un caso di sequestro di documenti presso terzi. Infatti le norme che sanciscono immunità e prerogative parlamentari in deroga al principio di parità di trattamento dinanzi alla giurisdizione, debbono essere interpretate nel senso più aderente al testo”. Poi ha concluso: “Se invece si vuole reintrodurre una nuova e più ampia forma di immunità, o la vecchia autorizzazione a procedere abrogata nel 1993, discutiamone apertamente, ci si metta la faccia con una proposta di Legge. Io sarò contrario, ma potrei essere, come spesso accade, in minoranza”.

I 5 stelle: “Indagine diretta a una terza persona” – D’accordo con Grasso la senatrice Maria Domenica Castellone, capogruppo dei 5 stelle: “Sulla base degli elementi a disposizione, risulta che questa indagine era diretta ad una terza persona e questo caso dunque non andava richiesta l’autorizzazione preventiva del Senato, che può intervenire solo in caso di concreto utilizzo degli atti in esame, cosa non ravvisabile in questa circostanza”. Per questo motivo, ha aggiunto Castellone, “mancano pertanto gli elementi necessari per configurare e sostenere la richiesta di conflitto di attribuzione tra poteri dello stato e per questo motivo ribadisco il nostro voto contrario”. A favore di Renzi si è schierato Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, limitandosi a dire un generico “le regole vanno rispettate anche e soprattuto dalla magistratura”. Matteo Salvini, che parla dalla presentazione del libro di Luca Palamara, dice che “non combatterà mai Renzi a colpi di magistratura”. Per la Lega ha parlato in aula Emanuele Pellegrini, che ha argomentato il voto a favore del suo partito con queste parole: “Va tutelata la libertà della magistratura ma anche la libertà della politica. Ci sono equilibri che vanno mantenuti. Quando Renzi dice che vale più una velina della procura di una sentenza, ricordiamocelo sempre. Se non si rispettano le regole, si fa il gioco dell’antipolitica”. Diverso nel tono, ma non nella sostanza, l’intervento di Dario Parrini che ha spiegato perché il Pd ha votato a favore di Renzi: “Investire la Consulta non è una mancanza di rispetto per l’independenza della magistratura nè per intralciare inchiesta. Il conflitto di attribuzione può rappresentare un fattore di chiarezza”. Secondo il dem “quando vi è il fondato e ragionevole dubbio che in una specifica circostanza uno dei poteri dello Stato abbia ecceduto che abbia superato il confine che divide il suo territorio da quello di un altro potere costituzionale è legittimo chiedere alla più Alta Corte se c’è stata una invasione di campo da sanzionare”.

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