Un’incisione su legno pubblicata il 9 marzo 1872 sulla rivista Frank Leslie’s Weekly ricorda, a perenne memoria, la festa di inaugurazione del Metropolitan Museum of Art di New York al 681 di Fifth Avenue il 20 febbraio 1872. Molto è cambiato da quella perenne incisione e tutto si è progressivamente ingrandito, divenendo un indiscutibile punto di riferimento mondiale. Come sempre gli anniversari costituiscono l’occasione per attualizzare l’importanza di tali strutture alla luce anche dei cambiamenti intorno alle vicende connesse all’arte o più in generale alle collezioni.

In questo 150esimo compleanno è interessante scoprirne le storie conosciute e quelle rimaste ancora da scoprire in un luogo nel quale tutte le epoche sono rappresentate da mirabili opere che catturano lo sguardo e l’attenzione dei visitatori di ogni tempo. E dunque è necessario “rivisitare” il Museo possibilmente di persona oppure avvalendosi di un portale decisamente dinamico che consente una piacevole immersione nella grandezza. Qui tutto è grande, eppure nella consuetudine si è scelto di utilizzare il riduttivo “The Met”, ma in realtà il “miglio dei musei” continua a stupire e ad affascinare per la propria natura monumentale.

E così da quel palazzo della Quinta Strada partì un progetto pionieristico e visionario al tempo stesso. E come non ricordare il suo primo presidente, quel John Taylor Johnston, uomo di idee in movimento che avrebbero migliorato tutti i campi delle sue diverse professioni e con uno spirito imprenditoriale e filantropico che rimanda a figure similari (anche italiane), circostanza evidenziata, alla sera della sua vita, attraverso il suo testamento e non solo giuridico. Anche l’editore George Palmer Putnam merita una menzione speciale e, in questo contesto, nelle vesti di sovrintendente del nascente museo. Da questo punto in poi la storia museale si svolse nella Douglas Mansion, ad ovest della Quattordicesima Strada e dalla temporalità della collocazione si passò al lato est del Central Park dove venne realizzata la sua sede permanente con una continua espansione completata nel 1926 in stile Beaux-Arts.

Ma qual è il messaggio odierno da tenere bene a mente? La risposta potrebbe essere contenuta nella prefazione di Alberto Garlandini che apre il nuovo volume di Ludovico Solima dal titolo efficace Le Parole del Museo. Sostiene Garlandini che “i musei vivono nella contemporaneità e i temi della contemporaneità sono al centro delle loro attività. Il ruolo sociale dei musei non è una scoperta recente. Se ne parla almeno dal 1972, quando a Santiago del Cile si tenne la conferenza di Icom e Unesco sui musei nel mondo contemporaneo. In quell’evento, passato alla storia della museologia come la Tavola rotonda di Santiago del Cile, venne proposta un’organica visione del museo come istituto al servizio della società, inserito nella vita e nello sviluppo delle comunità” e aggiunge: “l’accessibilità, cuore della funzione del museo al servizio della società e del suo sviluppo”.

Il libero accesso alla cultura e al patrimonio culturale è uno dei diritti umani riconosciuti dalle Nazioni Unite e dall’Unesco. È un indiscusso indicatore della giustizia sociale e del benessere dei cittadini”. Tale indicatore non si discosta molto dalla volontà dei fondatori del Met. Il Museo newyorkese che qui si contempla è davvero al servizio della società, di quella società che necessità di continue “espansioni” culturali. In questo la pandemia ci ha insegnato che è possibile visitare un museo anche da remoto e in questo la scommessa è stata vinta da parte di quelle organizzazioni che hanno saputo avvicinare le distanze con “aperture” sulle collezioni in una sorta di democrazia culturale per ampliare la platea non solo dei visitatori ma anche degli appassionati.

Educare all’arte: forse questa è la migliore eredità che, a 150 anni dall’inaugurazione del Metropolitan Museum of Art, rimane a disposizione di tutti. E’ cambiato lo scenario dell’inaugurazione di quel febbraio del 1872, ma non l’entusiasmo di un mondo nuovo che verrà anche per fronteggiare le nuove “guerre” più silenziose e spesso più dolorose.

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