Nel futuro di Internet potrebbe non esserci Mark Zuckerberg. Fino a qualche anno fa sembrava impensabile anche solo ipotizzarlo, ma oggi le cose sono cambiate e Facebook non è più quello di un tempo. Non solo la storica creatura è moribonda, assediata da scandali e nuovi rivali, ma l’impero stesso da poco ribattezzato “Meta” scricchiola vistosamente sotto il peso di una lunga serie di criticità e congiunture sfavorevoli.

Quanto accaduto il 3 febbraio di quest’anno certifica lo stato di salute precario di un’azienda che si avvicina al suo ventesimo compleanno non più forte di quella solidità e primazia data per acquisita. Parliamo di un crollo di valore del 26% per le azioni del gruppo, 230 miliardi di dollari sfumati. Un unicum nella storia del colosso dei social. Le cause di una svalutazione così rovinosa sono molteplici, ma l’ultimo rapporto sugli utili presentato da Zuckerberg ne indica una tra tutte: la concorrenza, notoriamente mal digerita.

Dopo aver svalicato con decisione la soglia del miliardo di utenti, TikTok si impone come l’avversario più temibile per Instagram di Meta. E se prima far incetta di piattaforme e social emergenti era un gioco da ragazzi – la scioltezza con cui otto anni fa si comprò WhatsApp – oggi l’azienda nata dalle ceneri di Facebook Inc. deve vedersela con la continua minaccia di interventi antitrust. Le autorità arrivano a contestare perfino gli acquisti più ordinari nel mondo della realtà virtuale o delle Gif. La soluzione, dunque, resta una soltanto: fare quanto si è fatto in passato con Snapchat e le sue fortunate stories. Instagram ha già replicato attraverso la funzione “Reels” i brevi post video che hanno reso celebre l’inedito social cinese, ma questa volta con un risultato inatteso. Se il nuovo driver scopiazzato fa centro nel coinvolgere maggiormente gli utenti, non si dimostra una macchina da soldi come i tradizionali post. Gli annunci video, infatti, sono di per sé poco funzionali e le persone tendono a bypassarli. Ne deriva un grave danno per gli inserzionisti che acquistando spazi pubblicitari virtuali costituiscono la maggiore fonte di entrate per la compagnia.

Altra spina nel fianco è poi la stringente “App Tracking Transparency” introdotta da Apple sui suoi dispostivi mobili. Dare agli utenti il potere di scegliere se essere tracciati o meno significa mettere fuori gioco il sistema di targeting per gli annunci personalizzati. Meno dati vuol dire meno soldi e la previsione è già nerissima, la nuova policy dei melafonini in aggiunta alle recenti normative europee rischia di costare all’azienda dieci miliardi di dollari di entrate mancate il prossimo anno. Perché quel che più mette in pericolo il futuro di Meta è il modello di business a cui è ancorato il suo fondatore.

Il web del futuro sarà un web più privato, la raccolta selvaggia di dati personali sperabilmente sarà presto un lontano ricordo. E le società di Internet più lungimiranti si stanno già attrezzando in modo da intercettare la tendenza per tempo. Se Google Chrome sta meditando di rivedere il suo tradizionale meccanismo di tracciamento per la pubblicità, l’iPhone che mette la privacy al centro della sua nuova strategia di marketing ha già segnato una crescita del 9% nelle vendite annuali. Tra le big company, l’unica che non sembra in grado di raccogliere la sfida è proprio quella che fa capo a Mark Zuckerberg.

Un articolo del Financial Times rivela come Meta stia brevettando per la realtà aumentata centinaia di tecnologie che utilizzano dati biometrici degli utenti – catturando i movimenti di viso e occhi – con il possibile secondo fine di offrire pubblicità ancor più mirate. Che il Metaverso sia l’abile tentativo di rilanciare un brand divenuto controverso, “il prossimo capitolo di Internet” o semplicemente un costoso abbaglio come il dimenticato ‘Second Life’, nelle ambizioni dell’ideatore di Facebook è una storia già vista.

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