“Una lettura ‘forzata’, se non surreale” delle intercettazioni. Un’ “aberrante ‘tecnica’ di ‘silenziare’ gli elementi di prova”. Ma anche “un’inspiegabile lettura deformata dei dati fattuali emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, che altra giustificazione non ha se non quella di dichiarare ‘ad ogni costo’ responsabile” Mimmo Lucano. Gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia ci vanno giù pesante e provano a smontare pezzo per pezzo la sentenza emessa dal Tribunale di Locri che, lo scorso settembre, ha condannato a 13 anni e 2 mesi l’ex sindaco di Riace per tutti quei reati che riguardano la gestione la gestione dei progetti di accoglienza dei migranti ma soprattutto la gestione del denaro pubblico: 9 truffe, 4 peculati, 3 falsi e 2 abusi d’ufficio. Una pena quasi doppia rispetto a quella chiesta dalla Procura nonostante l’assoluzione per il reato più grave, in termini di anni di carcere, che era quello della concussione.

Una sentenza che, per i due legali, nei confronti di Lucano “rivolge espressioni caratterizzate da una aggettivazione aspra, polemica, al limite dell’insulto, che ben poco si addicono all’atto del giudicare”. Ecco perché, scrivono Daqua e Pisapia, l’ex sindaco “Lucano appare nella motivazione del Tribunale come una figura avida, infida, arrogante, una controparte da perseguire più che una persona da sottoporre a giudizio per i fatti che gli vengono attribuiti. A questa ‘narrazione’ la difesa contrappone una ‘narrazione’ diversa e alternativa. L’obiettivo perseguito dal Lucano era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso. Le somme contestate non sono state utilizzate con la finalità di arricchire sé stessi o comunque le associazioni, ma destinate esclusivamente all’espletamento dei servizi previsti dalla confusionaria normativa di settore”.

Le motivazioni del ricorso sono state sintetizzate in 127 pagine depositate in Corte d’appello. Il collegio difensivo contesta, inoltre, sia l’utilizzabilità delle intercettazioni, alla luce della sentenza “Cavallo” emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione, sia la trascrizione delle telefonate riportate in sentenza. Trascrizione che non corrisponderebbe, a detta degli avvocati, a quella della perizia disposta dal Tribunale stesso nel corso del processo. Tra le contestazioni c’è pure la modifica direttamente in sentenza, del capo di imputazione da abuso d’ufficio a truffa aggravata. Un cambio in corsa che, ricordano gli avvocati, contrasterebbe con quanto stabilito dalla Cassazione: “La Suprema Corte – scrivono infatti Daqua e Pisapia – ha più volte affermato il principio secondo cui sussiste violazione del diritto di difesa quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato originariamente, ‘in rapporto di eterogeneità’, vale a dire che presenti elementi aggiuntivi rispetto al primo, realizzando così una vera e propria trasformazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato”.

E se la condanna di Mimmo Lucano per associazione a delinquere “appare raggiungere il massimo livello di creatività”, per gli avvocati di Mimmo Lucano, “la sentenza si risolve in una sintetica ricognizione di fatti e di condotte, corredata da affermazioni apodittiche, assertive”. Questo avrebbe portato a un “palese errore prospettico” che poi ha “condizionato pesantemente il giudizio, restituendo una ricostruzione della realtà macroscopicamente deforme rispetto a quanto emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale”. In altre parole, secondo Daqua e Pisapia, la sentenza non rende giustizia a quello che è stato il processo. Piuttosto i giudici di Locri hanno condannato l’ex sindaco di Riace, con una “motivazione puramente apparente”. “Invero – si legge nelle motivazioni dell’appello – il metodo adottato dal Tribunale segue in genere il seguente paradigma: annuncio che un certo fatto è comprovato dalle conversazioni intercettate, conferimento alluvionale delle predette intercettazioni, conclusione assertiva che le intercettazioni riportate forniscono la prova del fatto da provare”.

“Dov’è lo scambio politico? – si domandano gli avvocati dell’ex sindaco di Riace – Dove sono i voti di riscontro all’atteggiamento ‘omissivo’ che Lucano avrebbe tenuto? Dov’è quella tanto ricercata (ma inesistente) ricchezza, quel vantaggio economico acquisito dal Lucano attraverso lo sfruttamento del sistema di integrazione? La lettura dei dialoghi intercettati, confortata dai dati documentali, se non stravolta nel suo significato, se non screditata attraverso interpretazioni, a dir poco, ‘surreali’ ci restituisce un quadro che non lascia dubbi, una certezza insuperabile: nessun tornaconto economico e politico ha avuto Lucano dalla gestione dei progetti di accoglienza”. Lo ha detto più volte anche il colonnello Nicola Sportelli della Guardia di finanza che ha condotto le indagini e che per lunghi mesi è stato sentito in aula dallo stesso Tribunale.

“Se parliamo – ha affermato l’ufficiale della Guardia di finanza – dal punto di vista economico no…non dico che ci sia un interesse di natura economica-personale da parte di Lucano. Di questo penso di essere abbastanza certo”. Eppure in sentenza, a pagina 780, il giudice sostiene che Lucano, “operando con lucida spregiudicatezza, manifestava espressamente la finalità di trarne vantaggio economico e, soprattutto, politico”.

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