“Dobbiamo parlare del superbonus” afferma il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti in un’intervista al Corriere della Sera. Dobbiamo parlarne perché “stiamo dando un sacco di soldi all’edilizia (…) e droghiamo un settore in cui l’offerta di manodopera è limitata. Stiamo facendo salire i prezzi e contribuiamo all’inflazione”. “Diamo i soldi ai miliardari per ristrutturare le case delle vacanze. Ride tutto il mondo. Intanto rischiamo che dilaghi la disoccupazione nell’industria spiazzata dall’imposizione del passaggio all’auto elettrica entro il 2035″, prosegue Giorgetti che poi aggiunge “i politici dovrebbero andare nelle fabbriche a vedere cos’è la creazione di ricchezza. Qui se un benestante si ristruttura casa a spese dello Stato mentre l’industria non ce la fa a andare avanti, qualcosa non mi quadra”.

Il ministro sottolinea come il governo di cui fa parte avrebbe voluto limitare la portata degli incentivi al mattone ma farlo è stato impossibile per la pressione delle forze politiche della maggioranza. Così ad esempio si esprimeva su Twitter il leder del suo partito, la Lega, Matteo Salvini:

In passato lo stesso Giorgetti aveva sostenuto la necessità di spingere l’edilizia per rilanciare la crescita. Senza dubbio i bonus per l’edilizia sono stati concepiti male, le cifre sulle truffe non sembrano lasciare dubbi in proposito. L’insufficienza e inadeguatezza delle verifiche hanno sinora avuto un impatto sulle casse pubbliche da 4,4 miliardi di euro. Il governo sta cercando di metterci una pezza con l’introduzione di controlli preventivi ed estendendo il visto di conformità previsto per il superbonus 110% (in realtà quello con meno frodi) anche alle altre agevolazioni.

Il ritardo sull’auto – “Chiediamoci cosa può fare lo stato di fronte alla rivoluzione digitale ed energetica o allo choc che che investe l’auto”, afferma poi Giorgetti. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la risposta dovrebbe darsela lui, almeno finché è ministro dello Sviluppo economico. A un anno dall’entrata in carica del governo Draghi, l’Italia rimane l’unico paese a non essersi ancora dotato di un piano per la gestione della transizione verso le motorizzazioni elettriche nel settore dell’auto. “La politica industriale va sviluppata. Lo stiamo facendo“, spiega il ministro. Secondo fonti sindacali il Mise è però molto in ritardo, non siamo neppure ai lavori preparatori, manca ancora ad esempio la semplice mappatura della filiera italiana dell’elettrico.

Solo dopo le reiterate richieste, insolitamente congiunte, di Confindustria e sindacati, mercoledì scorso i 4 ministri Giorgetti, Cingolani (Transizione ecologica), Giovannini (Infrastrutture e Trasporti) e Franco (Economia) si sono incontrati per affrontare l’argomento. Risultato? Hanno deciso di incontrarsi di nuovo. Dalle pagine del Corriere il ministro dello Sviluppo Economico annuncia che “a giorni” verrà firmato l’accordo con Stellantis per la costruzione della fabbrica di batterie elettriche a Termoli. Progetto da 2,5 miliardi a cui il governo italiano darà un contributo di quasi 400 milioni. L’accordo sembrava già cosa fatta, poi Stellantis ha frenato, probabilmente l’assegno del governo ha poi convinto il gruppo automobilistico franco-italiano.

Sta di fatto che a Giorgetti l’auto elettrica proprio non piace, opinione legittima. Si dice d’accordo con il numero uno di Stellantis Carlos Tavares quando afferma che “Si tratta di una scelta politica che avrà dei costi sociali” e poi rincara: “Va abbattuta la Co2, sì. Ma manca una valutazione industriale, sulla sovranità strategica e tecnologica dell’Europa. In tutta questa febbre per l’auto elettrica chi fornisce le materie prime è la Cina. È lì il controllo di gran parte del litio, cobalto e silicio. Significa mettere il primo settore manifatturiero d’Europa in mano ad altri, lontano da noi. Possibile che nessuno ci pensi?”. La visione di Giorgetti è curiosa. L’Europa non è mai stata ricca di “terre rare”, che provengono soprattutto dall’Africa, dove i cinesi (ma non solo) hanno molto investito. Questi minerali sono impiegati in molte produzioni avanzate, incluse, ma non solo, le batterie elettriche. Il Vecchio Continente dipende dall’import ma non lo scopriamo oggi.

Beato Macron e le sue centrali – C’è poi la questione del caro energia. “Invidio Emmanuel Macron che annuncia sei nuove centrali nucleari. Da noi purtroppo è tabù”, esordisce Giorgetti che poi aggiunge “per fortuna il gas è tornato tra le fonti ammesse in Europa per la transizione”. Anche secondo Giorgetti, come per Confindustria e mezzo governo, “bisogna aumentare la produzione nazionale“. Spremere i piccoli giacimenti (alle attuali condizioni di mercato e di progresso tecnologico) che si trovano nell’Adriatico. E pazienza se l’Italia intanto chiede a Cina e India di lasciare i loro fossili dove stanno. Per gli aiuti in bolletta secondo il ministro servirebbe “un po’ di scostamento di bilancio. Che invece non c’è quindi si raschia un po’ il barile”. Letteralmente. Quanto a eventuali misure fiscali Giorgetti suggerisce che il “credito d’imposta al 20% sugli aumenti in bolletta rispetto al 2019 si può aumentare in base alle risorse disponibili. Di certo per distribuire reddito bisogna produrlo e se non tuteliamo i settori industriali, non ci saranno risorse”.

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