Si dice che un giocatore non fa una squadra, come l’abito non fa il monaco. Non vale per Dusan Vlahovic. Dentro lui, e la Juventus è un’altra cosa: più forte, più bella, più divertente. Vlahovic e il calciomercato (mettiamoci pure Zakaria, subito in campo e subito decisivo anche lui) sembrano aver davvero trasformato i bianconeri. E forse persino Max Allegri. Era ovvio che la Juve sarebbe migliorata, aggiungendo al centro dell’attacco il bomber più forte del campionato. Non era altrettanto scontato che sarebbe cambiata. Non subito, almeno. L’esordio del serbo è stato praticamente perfetto: gol dopo appena tredici minuti, tanti palloni toccati, occasioni a raffica, belle giocate, sempre nel vivo della manovra. Di più non si poteva chiedere.

Ma è stata tutta la squadra ad apparire diversa, e non certo per il risultato, un 2-0 casalingo contro un Verona rimaneggiato che non può far gridare al miracolo. Qualche altra vittoria degna di nota del resto la Juve l’aveva comunque racimolata in questa deludente prima parte di stagione, come il 4-3 all’Olimpico contro la Roma, o l’1-0 in Champions col Chelsea che alla fine è valso il primo posto nel girone. Ma senza mai convincere, sempre con un gioco rinunciatario, a volte inguardabile. Per la prima volta quest’anno invece la Juve ha aggredito gli avversari e non li ha aspettati, ha giocato da Juve insomma.

Ora, è evidente che tutto questo non può essere merito solo di Vlahovic, men che meno dopo appena una settimana. Eppure in un certo senso lo è. Ci si chiedeva quale sarebbe stato l’impatto del grande colpo di mercato. La sintesi fra una squadra fin qui refrattaria a qualsiasi idea di calcio offensivo, e un giocatore abituato a segnare una caterva di gol ma nella Fiorentina di Italiano votata all’attacco e allo spettacolo. La risposta è arrivata dal campo. Vlahovic è sempre Vlahovic. La Juve è cambiata. E non solo dal punto di vista tecnico, perché certamente uno così là davanti prima non c’era e ora fa tutta la differenza del mondo, nella capacità di segnare ma anche di far appoggiare i compagni.

Però è cambiato tutto lo spirito, l’attitudine degli altri giocatori, l’entusiasmo del pubblico che si era un po’ perso e domenica è tornato a ribollire come ai vecchi tempi. È come se con l’innesto di Vlahovic la Juve si sia scrollata di dosso i suoi limiti, le sue paure. La stessa mossa di Allegri di schierare dall’inizio il tridente (visto raramente in precedenza) ha dato un segnale chiaro all’ambiente. I tre si sono trovati a meraviglia, supportati da un centrocampo dove c’erano sì i muscoli di Zakaria (a conferma di quanto sia stata azzeccata la campagna acquisti di gennaio), ma pure la tecnica di Arthur, fin qui relegata sempre in panchina perché considerata un orpello.

L’evoluzione degli ultimi anni ci ha insegnato che non bisogna per forza avere giocatori forti per giocar bene al calcio, altrimenti non si spiegherebbe come la neopromossa Empoli, tanto per fare un esempio, possa stare nella parte sinistra della classifica con un manipolo di carneadi e ragazzini. Viceversa, si può giocare malissimo anche con ottimi interpreti, e in questo senso i bianconeri di Allegri (che non avrà avuto una rosa fantasmagorica, ma nemmeno così scarsa) sono stati l’esempio migliore, o peggiore che dir si voglia.

Adesso la Juve e il tecnico livornese non hanno più alibi. E forse l’hanno capito, squadra e allenatore. È ovviamente presto per trarre conclusioni. Una rondine non fa primavera, una vittoria non cambia da sola la stagione, a maggior ragione se contro un avversario modesto. La sfida di domenica prossima contro l’Atalanta non soltanto sarà molto più attendibile, ma anche decisiva, perché rappresenta un vero e proprio spareggio per la qualificazione in Champions, che resta l’obiettivo minimo (e non derogabile) per i bianconeri. Intanto però la Juve ha lanciato un segnale, forse più a se stessa che al campionato. Vuole tornare a fare la Juve. In fondo, è per questo che è stato preso Vlahovic.

Twitter: @lVendemiale

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