Nemmeno l’emergenza Covid è riuscita a cambiare la scuola italiana. Maestri e professori continuano ad usare come principale risorsa didattica il libro di testo; danno voti come hanno sempre fatto senza mettere in campo l’autovalutazione o quella tra pari; non vanno oltre la classica aula e in didattica a distanza hanno usato solo piattaforme all in one per le scuole senza pensare di adoperare applicazioni per il coding o per videoconferenze. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. L’unica novità è il potenziamento dell’uso del digitale e il miglioramento della formazione in questa direzione. A due anni dalla chiusura delle scuole a causa della pandemia, Indire (l’Istituto nazionale documentazione, innovazione e ricerca educativa) ha pubblicato uno studio, riferito al 2020/21, sulle diverse dimensioni dell’organizzazione scolastica. Il monitoraggio, rivolto a un campione selezionato di 2.546 docenti a tempo indeterminato, non di sostegno, è stato svolto in tutte le aree del Paese.

Il risultato è, per molti versi, sconfortante. Il primo aspetto che balza all’occhio è l’intramontabile legame tra il docente e il “sussidiario”. Nella scuola primaria il 53,9% dei docenti l’ha utilizzato “sempre” e il 39,7% di essi “spesso”; nella scuola secondaria di primo grado le percentuali sono rispettivamente del 49,3% (“sempre”) e del 38,5% (“spesso”), mentre nella secondaria di secondo grado queste sono del 46,8% (“sempre”) e del 38,4% (“spesso”). “L’uso di supporti e risorse per la didattica – spiegano i ricercatori di Indire – pur avendo generato alcuni cambiamenti rispetto alla pre-pandemia, sembra non aver intaccato il primato detenuto dal libro di testo, che risulta ancora essere tra le risorse più frequentemente utilizzate”.

Nulla da fare anche per quanto riguarda la valutazione. Gli insegnanti continuano a preferire il voto dato da loro ad altre forme che coinvolgono maggiormente i ragazzi (auto-valutazione, ad esempio). Anzi, la didattica online ha consentito a maestri e professori di rafforzare la loro scelta: “A distanza – sottolinea la ricerca – le pratiche di valutazione attive per gli studenti, in autonomia o peer, sono poco consuete per i docenti: la valutazione fra pari non è mai stata praticata per il quasi 37% dei rispondenti, o poco (34%); l’autovalutazione mai proposta per il quasi 24% dei prof, e usata poco per il 34%”. Non si tocchi poi l’aula. Nonostante i patti educativi di comunità siano stati richiamati nel Piano Scuola 2020/21 al fine di incoraggiare collaborazioni virtuose tra presidi e territorio, sono rimasti solo sulla carta. Quasi la metà dei docenti consultati da Indire ha detto di non aver scelto “spazi non convenzionali”: solo il 31% ha fatto lezione in ambienti scolatici esterni e solo il 5,1% nei parchi delle città.

L’unico aspetto positivo è il fatto che tutti i docenti hanno migliorato le loro competenze digitali. “E’ bene osservare – spiegano i ricercatori – che congruentemente con la quota del 10% circa di insegnanti che in qualche maniera padroneggiavano già competenze digitali sufficienti ad esprimere la propria professionalità e didattica, si attesta al di sotto del 16% la quota di docenti che afferma di non aver migliorato le proprie competenze tecnologiche durante la pandemia, e complessivamente oltre l’84% quelli che affermano invece di avere avuto un miglioramento in tal senso”. In quest’ottica è curioso notare come è stata utilizzata in maniera diversa la tecnologia nei rapporti con gli allievi: il contatto con i bambini della primaria è stato garantito e mediato dal registro elettronico e dalle famiglie, mentre nella scuola secondaria per il confronto con gli studenti si è preferito lo scambio di e-mail e la messaggistica telefonica.

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