I giornalisti afghani sono pronti a essere accolti in Italia dopo la fuga dal Paese di nuovo nelle mani dei Talebani, ma un cavillo fa slittare la procedura. Il Tribunale di Roma, il 21 dicembre scorso, ha emesso una pronuncia con cui ordinava il rilascio di un visto umanitario per due reporter operativi in Afghanistan, ma quando anche l’ultimo dettaglio sembrava risolto è arrivato il veto della Farnesina. La vicenda, sotto il profilo giudiziario, è stata seguita dall’Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: “Inaccettabile la mancanza di rispetto del diritto alla protezione – attacca l’avvocata Nazzarena Zorzella che ha seguito il caso dall’inizio – Come ha affermato il Tribunale di Roma, è dovere del giudice riconoscere il diritto all’ingresso in Italia per avere protezione di fronte al rischio di grave compromissione dei diritti umani. Un diritto che non può essere condizionato in alcun modo, con l’unica eccezione dei controlli di sicurezza ordinariamente svolti dallo Stato. Il comportamento del ministero denota una evidente resistenza al rispetto dei diritti fondamentali della persona, in contrasto con gli obblighi costituzionali che per primo dovrebbe rispettare. La battaglia certamente continuerà ma non farà onore allo Stato italiano”.

Di uno dei giornalisti il Fatto.it aveva raccontato la storia. In particolare l’accorato appello per essere aiutato a lasciare definitivamente l’Afghanistan a causa dei rischi legati alla sua professione. Con lui adesso c’è la sorella, anch’essa giornalista, in fuga verso la salvezza. In questa fase, visti gli ostacoli posti dal ministero degli Esteri, decidiamo di mantenere occultate le loro generalità, in attesa di novità sotto il profilo giuridico.

Il ritorno al potere degli Studenti Coranici l’agosto scorso ha messo in serio pericolo molti collaboratori dei contingenti internazionali della Nato, delle ambasciate e tutti i professionisti in qualche modo ‘non graditi’ all’Emirato Islamico. Tra questi anche i due protagonisti di questa storia. Al momento del primo contatto, i due giornalisti si trovavano ancora in Afghanistan, a Kabul. Nel momento in cui Asgi, attraverso una persona garante della loro accoglienza in Italia, ha avviato la pratica giuridica per l’ottenimento del visto per motivi umanitari, è iniziata una corsa contro il tempo. Entro i primi giorni di dicembre i due dovevano necessariamente essere entrati in Pakistan per prendere contatti con la nostra ambasciata. A differenza di quanto accadeva nelle prime settimane successive alla fuga dell’Occidente, da novembre passare il confine è diventato impossibile a livello ufficiale e molto rischioso in generale.

I due giovani hanno prima tentato la via della frontiera attraverso il famigerato Khyber Pass, senza fortuna. Un viaggio impervio e drammatico per certi versi ha consentito loro l’ingresso in Pakistan molto più a sud, nella zona tra Kandahar e Quetta, per poi risalire verso Islamabad, la capitale pakistana, sede dell’ambasciata italiana. Quando il 21 dicembre scorso il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso proposto dei due giovani giornalisti, attraverso Asgi, ordinando all’Italia di rilasciare loro i visti umanitari, la vicenda sembrava potersi chiudere con un lieto fine. Il ricorso, infatti, era stato preceduto da una richiesta formale al ministero per gli Affari Esteri in cui si era evidenziato il concreto pericolo a cui erano esposti i due giovani.

La Farnesina, però, non ha mai risposto, rendendo necessaria la proposizione del ricorso d’urgenza riconosciuto dal Tribunale romano: “Nonostante la chiarezza dell’ordine giudiziale – aggiunge l’avvocato Zorzella – il ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale sta opponendo una strenua quanto inaccettabile resistenza. Da una parte proponendo ai ricorrenti di entrare a far parte dei corridoi umanitari, che ancora devono essere attivati, con tempi lunghi e indefiniti, dall’altra chiedendo di dimostrare con idonea documentazione il percorso di accoglienza e integrazione in Italia con adeguata copertura finanziaria. Pretese inaccettabili”.

La vicenda comunque non è chiusa. Asgi ha fatto sapere di non avere intenzione di mollare: “Ho già depositato un nuovo ricorso, sempre al Tribunale, per sbloccare la vicenda in cui cercherò di rendere impossibile la creazione di ulteriori ostacoli – conclude l’avvocato – La sentenza dovrebbe arrivare entro il 13 o al massimo il 14 gennaio, per fortuna in tempi decenti. Speriamo piuttosto che venga accolto. Il concetto di base è molto semplice, se la pubblica amministrazione riceve un ordine lo deve eseguire. È quanto mi aspetto dal ministero degli Esteri”.

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