Perdere sempre è una maledizione. Ma non vincere mai è una forma d’arte. Un aforisma da cioccolatino che ora rischia di diventare sortilegio, condanna a tempo indeterminato. O almeno è così per il Levante, la squadra più antica di Valencia che ha trovato sempre un modo per restare fedele alle proprie origini. Perché per un club di estrazione operaia e popolare non c’è niente di più volgare che trasformarsi in borghesia. Blaugrana sì, ma quelli poveri. Una società che collezionava stelle, ma solo cadenti. Il Levante non ha mai scritto la storia del calcio. L’ha subita e basta, eterna comparsa in uno sport dove ogni attore deve necessariamente essere protagonista. Un copione che si è ripetuto uguale a se stesso. Anno dopo anno. Stagione dopo stagione. Fino qualche giorno fa, quando il Levante è diventato la peggiore squadra nella storia della Liga. Nel vero senso della parola.

La classifica non basta a raccontare lo sprofondo dei valenciani. Diciassette partite giocate in questo campionato. Otto pareggi. Nove sconfitte. E basta. Nessuno fra Spagna, Italia, Inghilterra, Francia, Germania, Scozia e Portogallo è riuscito a fare fare peggio. Il problema è che il club si porta dietro anche il fardello dell’anno passato. L’ultimo successo risale addirittura a sabato 10 aprile 2021. Un timido 0-1 in casa dell’Eibar. Poi più niente. Otto sconfitte una dietro l’altra. In tutto fanno 25 partite senza successi. Un’impresa inedita nella Liga spagnola. Perché nessuno prima d’ora era riuscito a cucire insieme una striscia così cupa. Una squadra in caduta libera che a dicembre pensa già alla prossima stagione. Tanto lo dice anche Frankie HI-NRG MC: “Gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili”. Il club ha deciso di provare a dare una svolta un paio di settimane fa. Via Javier Pereira che aveva sostituito Paco López. I due, insieme, avevano raccolto soltanto 7 punti in 15 partite. La squadra è stata affidata ad Alessio Lisci, romano, 36 anni. È il tecnico più giovane della Liga. Ma è anche il meno invidiato.

Il suo passato da calciatore è stato trascurabile. Il culmine lo ha toccato in Serie D, con la maglia del Guidonia. Poi è arrivata la Lazio. Ma con un altro ruolo. Alessio ha iniziato con i Pulcini e gli esordienti. Faceva il coordinatore motorio. Ma nel frattempo studiava tecnica di allenamento. E anche tattica. Tanta. La grande occasione arriva nel 2011. Il Levante lo inserisce nell’organigramma delle giovanili. È molto di più di una semplice gavetta. Perché il ragazzo romano inizia a vincere. Si porta a casa quattro scudetti. Poi arriva la semifinale della Copa del Rey con la Juvenil A. Intorno alla sua figura inizia a formarsi un’aurea. Per qualcuno è un predestinato. Per altri uno che è pronto a qualsiasi sacrificio per dimostrare il proprio valore. Flaiano diceva “la ricchezza è una cosa degli altri. L’eroe ha bisogno solo di denaro”. Ed è vero. Il lavoro da allenatore non basta. Nei suoi primi anni in Spagna Lisci si mantiene vendendo prodotti italiani ai ristoranti di Valencia. È una trovata che funziona. Così come i suoi schemi. Un anno fa viene promosso alla guida dell’Atlético Levante, la squadra b del club. Poi, a fine novembre, ecco la doppia promozione. Prima tecnico a Interim del Levante. Poi allenatore fino a fine della stagione.

Quando riceve la chiamata della dirigenza è ormai sera. Non c’è bisogno di convincerlo, ha già accettato. Alessio attacca e si mette a guardare i video del prossimo avversario in campionato, l’Osasuna. Finisce alle cinque di mattina. Due ore dopo è già al campo di allenamento. L’esordio è dolce. Perché si gioca in Copa del Rey. Contro l’Huracán Melilla, che gioca in Regional Preferente, l’ultimo gradino del calcio spagnolo. Il Levante vince 0-8. È una zolletta di zucchero che si scioglie in un mare di lacrime. Lisci disegna la sua squadra sul 4-3-3 e sul 4-4-2. Ma i numeri cambiano poco. “Parto dalla premessa che bisogna mettere i giocatori dove rendono meglio, e da lì, ogni squadra è diversa – dice – Le mie squadre devono sapere che tutte le fasi del gioco sono prioritarie e fondamentali. Le mie squadre cercano di dominare tutte le fasi. Le statistiche sono lì. Ovviamente è qualcosa su cui bisogna lavorare. Non possiamo pensare di rivoluzionare una squadra in due giorni”. Contro l’Osasuna finisce 0-0. Non è molto. Ma è pur sempre qualcosa. La partita contro l’Espanyol è sogno e incubo allo stesso tempo. Alla fine del primo tempo il Levante è avanti 1-2. Poi incassa la rete del pareggio, ripassa in vantaggio, viene riagguantato e infine superato. Qualcuno la chiama beffa, altri semplice conseguenza dei valori in campo.

“In condizioni normali avremmo chiuso il primo tempo 1-4”, dice a fine partita. Per poi aggiungere: “Solo che quando entri in una dinamica negativa così lunga può succedere di tutto. Dobbiamo avere maggiore tranquillità e capire che a volte possiamo giocare anche più in orizzontale”. Le speranza sono degradate in dramma sportivo qualche giorno più tardi. Martedì il Levante ha giocato in Coppa del Re contro una squadra di Serie C. “L’Alcoyano è il peggior avversario che ci poteva capitare”, commenta Lisci. Per tutti è pretattica. Invece si trasforma in vaticinio. Il Levante pareggia 3-3. Poi perde ai rigori. José Juan, il portiere quarantaduenne del piccolo club ne para due. L’idea di aver trovato un modo per cambiare la stagione è andato in frantumi. Lunedì sera il Levante giocherà contro il Valencia nel derby più triste d’Europa. Una squadra sull’orlo della retrocessione contro una squadra sull’orlo del fallimento. Roba da cancellare i sorrisi. Una iniezione di angoscia che opprime quasi tutti. Tranne il ragazzo che allena la squadra che ha elevato la sconfitta a sistema. D’altra parte durante la sua presentazione Lisci aveva detto: “Non capisco perché dicono che il lavoro al Levante è una rottura di scatole. Per me non lo è sotto nessun punto di vista. Ho la possibilità di imparare e di allenare un’ottima squadra. Sono contento”. Ora la speranza è che non cambi idea.

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