L’ultimo collo di bottiglia innescato dal Covid sta mandando in crisi il sistema di raccolta del sangue gestito dall’Avis. Mancano medici e infermieri, così il ritmo delle sedute è stato rallentato e in alcuni casi le sessioni vengono annullate. “Stiamo facendo i salti mortali, reggiamo solo grazie alla grande generosità dei donatori”, spiega il presidente nazionale Gianpietro Briola, che il virus lo sta affrontando anche in prima linea da primario del pronto soccorso dell’ospedale di Manerbio, nel Bresciano. La coperta corta del personale sanitario, richiamata nelle scorse settimane da alcuni presidenti di Regioni alle prese con la riapertura degli hub vaccinali e la gestione dei reparti ordinari, si sta abbattendo sull’associazione di volontario che raccoglie oltre il 50% della fabbisogno di sangue in Italia.

Così se in Veneto Luca Zaia ha annunciato la riduzione delle prestazioni ospedaliere per assicurare la funzionalità dei centri per la somministrazione delle terze dosi, l’Avis da mesi sta fronteggiando la carenza di medici e infermieri e cercando soluzioni con Regioni e ministeri della Salute e dell’Università per tamponare le disponibilità limitate, in diverse zone del Paese, che rischiano di ripercuotersi a catena su malati cronici e sale operatorie. A ottobre, di colpo, Bergamo ha dovuto rinunciare a 12 giovani professionisti, costretti a lasciare per incompatibilità con la specializzazione. A settembre era stata la struttura di Modena a lanciare un appello urgente perché “il bacino si sta drammaticamente drenando” per le assunzioni in Asl. In primavera era toccato a Napoli e Savona affrontare lo stesso problema, che nella provincia ligure aveva quasi provocato la non autosufficienza di sangue. Tra le ultime ad andare in difficoltà ci sono Alba e Messina, neanche un mese fa.

“Stiamo lottando contro una crisi indotta dalla grande richiesta di personale sanitario scatenata dal Covid – ragiona Briola – C’è una ‘caccia’ a medici e infermieri, tra hub vaccinali e squadre Usca. E non possiamo competere da un punto di vista retributivo, pur rientrando ovviamente nelle tabelle dell’Ordine dei medici. Legittimamente il personale sceglie di prestare servizio dove guadagna di più, ma noi abbiamo le mani legate”. Perché le tariffe di rimborso per le sacche di sangue sono fisse: “Insomma, siamo vincolati”, dice il presidente nazionale. “La scarsità di personale in questi mesi ha portato a problematiche soprattutto al Sud. Siamo stati costretti ad annullare sedute di raccolta, in particolare nel periodo estivo. Abbiamo tenuto botta grazie agli interscambi regionali – continua Briola – Ma la richiesta di sangue nel 2021 è tornata ad aumentare su tutto il territorio perché, dopo lo stop legato alle prime tre ondate di Covid, grazie ai vaccini oggi la pressione sugli ospedali è minore e quindi viene garantita l’attività delle sale operatorie”.

Il sangue raccolto rispetto quanto al programmato è quasi in linea (-6.846 sacche su 2,1 milioni, dati aggiornati a ottobre) seppur con marcate differenze regionali e con circa mezzo milione di unità da raccogliere negli ultimi due mesi per chiudere l’anno come da previsioni. Ma l’obiettivo, per il momento, è stato raggiunto solo grazie a un extrasforzo del personale a disposizione. E adesso la concomitanza del periodo natalizio, durante il quale fisiologicamente le donazioni registrano un calo, unito alla riapertura massiccia degli hub per la somministrazione delle terze dosi, rischia di diminuire ulteriormente la disponibilità di personale disposto ad effettuare i prelievi nei centri di raccolta. Da mesi l’Avis sta portando avanti un interlocuzione con le istituzioni per affrontare il vuoto. Da un lato il pressing sulle Regioni affinché “sollecitino i direttori generali delle aziende ospedaliere affinché richiedano la disponibilità in convenzione al personale infermieristico”, dall’altro il dialogo con i ministeri della Salute e dell’Università per sbloccare la soluzione degli specializzandi, ad oggi non autorizzati a prestare servizio per la raccolta: “Non è impossibile rendere stabile questa apertura e vedremo cosa accadrà nella legge di Bilancio. In ogni caso sarebbe necessaria e auspicabile una deroga per tamponare temporaneamente il problema, che è già qui”.

Lo sanno bene nei territori: “Cerchiamo sponde in Regione, con l’Ordine dei medici e nelle università perché il problema è serio e più volte siamo già stati costretti a chiudere la domenica”, dice Sergio Casartelli, direttore amministrativo dell’Avis Milano (in foto). È lui a sostanziare la situazione in numeri: “Abbiamo tre unità mobili, all’interno delle quali devono esserci almeno un medico e un infermiere. Solitamente sono operative 7 giorni su 7. Oggi siamo al 20%. Traducendo nella pratica, quest’anno siamo passati da 8.000 unità di sangue raccolte a circa 3mila. Con una ripercussione sulla disponibilità di emocomponenti negli ospedali. A giugno siamo arrivati ad avere problemi anche con i talassemici, che necessitano di trasfusioni periodiche. Il problema è esploso con l’apertura degli hub vaccinali, che hanno fatto incetta di personale”. Il rischio, avvisa Casartelli, è che la carenza diventi “strutturale” e per questo chiede, almeno per tamponare, una disponibilità anche minima dei medici di base: “Basta una mezza giornata per venirci incontro”.

Anche perché le prospettive erano già grigie in era pre Covid. Nel 2019 il sistema trasfusionale ospedaliero era alle prese con un calo di 64 professionisti in dieci Regioni nei due anni precedenti e stimava un fabbisogno di 500 medici e infermieri nei dieci anni successivi a causa del turnover. La pandemia ha solo accelerato la riduzione di una coperta già corta: “Sono anni che la carenza di medici viene denunciata, il virus ha solo dimostrato che gli appelli non erano strumentali – ricorda Briola – Sicuramente c’è un problema di appetibilità del settore trasfusionale, ma in questi mesi sono diversi i bandi andati deserti perché la disponibilità di personale è inesistente. Abbiamo formato poco e adesso scontiamo tutta la cattiva preparazione”. Con il rischio di innescare un circolo vizioso, secondo il presidente dell’Avis: “I nostri donatori vanno tutelati. Dover rinviare o riprogrammare i loro appuntamenti per la mancanza di personale rischia di allontanarli. Sarebbe il danno più grave per tutto il sistema”.

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