Ci mancava il “patriottismo”. Nel lessico delle cosiddette nuove destre riecheggiano spesso evocazioni vecchie, molto vecchie. Non bastavano le retoriche dell’identità, delle radici, del padroni a casa nostra, così si è pensato di rispolverare uno slogan, che peraltro è teso più a escludere gli altri, che a unire “noi”. Così come il “prima gli italiani” di salviniana memoria non induceva a sentirsi più italiani, ma a mettere in seconda fila gli altri.

Il patriottismo meloniano viene evocato come qualcosa di glorioso, quasi sacro, ma perché? Perché dovrei escludere, discriminare, odiare qualcuno, solo perché è nato al di là di una frontiera? Nessuno sceglie dove nascere, vale anche per la Meloni: il fatto che lei sia italiana è un accidente, una casualità, come lo è per tutti noi. Da qualche parte tocca pur nascere. Perché farne un principio, un’arma, uno strumento di divisione? “Mi sembra una orribile indegnità avere un’anima controllata dalla geografia” scriveva George Santayana, invece pare che per molti non sia così.

Il tutto risuona ancora più assurdo, visto che, per quanto ne so, non siamo minacciati da qualche potenza straniera, che non vede l’ora di invaderci. Ovviamente le destre hanno pensato a come risolvere questo dettaglio: basta evocare l’invasione da parte di orde di stranieri, determinati ad avviare una sostituzione etnica, intaccando la nostra “purezza”.

Lo sapeva bene Pascal, quando scriveva: “Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche (…) Singolare giustizia che ha come confine un fiume! Verità di qua dei Pirenei, errore di là”.

Il nemico è sempre al di là del confine, noi siamo i buoni. Siamo sempre pronti a celebrare gli eroi delle guerre, morti per la patria, e mai chi da questa stessa patria è stato costretto a partire. Le nostre emigrazioni: dimenticate, relegate in pochi e scarni capitoli dei libri di storia o in qualche museo. Affidate a qualche film dal gusto amaro, ma mai fatte veramente nostre. Sono troppo poco patriottiche. Non meritano neppure l’ipocrita gloria di un monumento. Essere costretti a emigrare è forse peggio del perdere una guerra. È una sconfitta senza onore – dove il nemico siamo noi stessi, la nostra Patria. Abbiamo perso la misura del mondo.

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