La delicatissima partita del Quirinale rischia di influenzare persino la lotta alla pandemia. Tra meno di tre settimane, infatti, Mario Draghi dovrà decidere se rinnovare o meno lo stato di emergenza. Una decisione importante perché può avere un’influenza non secondaria sulla corsa alla successione di Sergio Mattarella. Fino ad oggi, infatti, il presidente del consiglio non ha mai escluso pubblicamente una sua candidatura formale al Colle. Cautela che Draghi ha usato anche per esprimersi sull’eventuale proroga dello stato di emergenza, in scadenza il 31 dicembre del 2021. E in queste ore, come racconta Repubblica, il capo del governo sta seriamente ragionando di non rinnovare quello strumento giuridico che già nella sua definizione è il simbolo di una condizione straordinaria. E’ proprio la situazione emergenziale, infatti, che congela ogni equilibrio politico, sbarrando la strada per il Colle all’ex presidente della Bce.

È noto che partiti come il Pd e Forza Italia, primi supporter del presidente del consiglio, farebbero volentieri a meno un suo trasferimento al Quirinale in modo da evitare il rischio – alto – di un ritorno anticipato alle urne. Come giustificare, però, l’intenzione di lasciare Draghi a Palazzo Chigi? Proprio con la situazione emergenziale rappresentata dalla pandemia e dalla gestione dei fondi del Recovery. Ecco perché nelle ultime ore Enrico Letta ha detto chiaramente che il suo partito sosterrà il governo nel caso in cui dovesse proporre una proroga. Ed è per i motivi opposti che partiti come Fratelli d’Italia e la Lega sono contrari alla proroga.

Sul tema, però, Draghi è abbastanza evasivo. Più volte gli è stato chiesto di un’eventuale candidatura al Colle e lui ha sempre evitato di togliere il suo nome dalla corsa. Nessun commento da parte del presidente del consiglio è arrivato pure sulla questione dello stato di emergenza. I retroscena, però, raccontano come in queste ore il premier stia riflettendo sulla possibile cancellazione dello stato di emergenza. Il ragionamento che da qualche settimana si fa a Palazzo Chigi è il seguente: la situazione sul fronte della lotta alla pandemia sta tornando tranquilla e dunque la condizione emergenziale che ha portato alla nascita di questo governo comincia a normalizzarsi. Gli obiettivi che erano stati fissati dall’esecutivo – vaccinazioni e messa in sicurezza del Recovery – sarebbero stati raggiunti. In questo modo verrebbe a mancare la “scusa” per mantenere Draghi a Palazzo Chigi: l’ex presidente della Bce, dunque, tornerebbe pienamente tra i “quirinabili“.

La strada che porta a questo tipo di strategia, però, è sbarrata. Intanto per motivi puramente pratici. Sempre secondo Repubblica, facendo decadere lo stato di emergenza, il governo varebbere una legge per spostare la struttura commissariale sotto la Protezione civile. Il commissario Francesco Paolo Figliuolo sarebbe messo a capo del Comando operativo di vertice interforze per gestire le operazioni anti Covid. In questo modo gli enti creati all’inizio della pandemia rimarrebbero in piedi, ma sarebbero “normalizzati”: da emergenza a convivenza, per Palazzo Chigi si tratterebbe una sorta di trasfomazione anche metaforica della lotta al Covid. Solo che i nodi da sciogliere sono molteplici. Per esempio: la Protezione civile può assorbire la struttura commissariale? E in questo caso da chi verrebbero gestite le campagne vaccinali? Dal Comitato interforze con a capo Figliuolo? Ci sono poi dubbi di carattere giuridico: senza lo stato di emergenza si può continuare a usare il sistema delle Regioni a colori, con le temute zone rosse che implicano una stretta sostanziale per una serie di attività?

Sullo sfondo di tutto ciò, poi, c’è la pandemia che è tutt’altro che finita. Nelle ultime settimane i contagi e i ricoveri sono ricominciati a crescere, addirittura sono esplosi nel resto d’Europa dove vari Paesi hanno già ordinato nuove chiusure. In più c’è ancora il rebus rappresentato dalla nuova variante Omicron. Anche per questo motivo fino a oggi Draghi è stato cauto: il premier vorrebbe aspettare i dati di fine anno, prima di decidere sullo stato di emergenza. E non è detto che lo strumento straordinario non possa essere rinnovato, anche se solo “a tempo”. Varato da Giuseppe Conte il 31 gennaio del 2020, lo stato d’emergenza può rimanere in vigore per 12 mesi e con una proroga di altri 12. Quindi in teoria il governo potrebbe pure pensare a un rinnovo di un mese, varando nel frattempo un’estensione del Super Green pass anche per i trasporti pubblici locali, gli aerei e i treni, dove sarebbero ammessi solo i vaccinati. Questa fase di transizione si andrebbe a chiudere il 31 gennaio del 2022, tre giorni prima della scadenza del mandato di Mattarella.

A testimoniare di come il dibattito sullo stato di emergenza influenzi la corsa al Colle, però, ci sono le posizioni dei partiti. A cominciare da Forza Italia, che vorrebbe davvero provare a eleggere Silvio Berlusconi al Quirinale e dunque insiste per mantenere Draghi a Palazzo Chigi.In questo modo, tra l’altro, si eviterebbero le elezioni anticipate. Stessa posizione per il Pd, che è consapevole di come una salita del premier al Colle distruggerebbe la stabilità del governo. Pure a ipotizzare un passaggio di testimone a Palazzo Chigi – magari col fido Daniele Franco – un goveno senza Draghi sarebbe molto debole. E magari perderebbe Matteo Salvini, che non vede l’ora di uscire da una maggioranza che gli fa perdere voti. E infatti uno dei volti più “governisti” della Lega come Massimiliano Fedriga , governatore del Friuli Venezia Giulia, si è schierato contro lo stato di emergenza: “Se servono delle misure ad hoc – personale sanitario aggiuntivo con gli specializzandi o sostegni per le Rsa – possiamo prendere dei provvedimenti mirati svincolati dallo stato di emergenza”. In questo risiko Giorgia Meloni è ovviamente nemica giurata della proroga di uno strumento che, sostiene, è stato “usato dalla sinistra fin dall’inizio la pandemia per limitare a suo piacimento le libertà degli italiani”. In realtà, nella visione della leader di Fdi, lo stato di emergenza ha il solo torto di non aver condotto il Paese a elezioni anticipate la scorsa primavera.

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