La legge Delrio che ha riformato le province è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e pregiudica la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori. Per questo motivo è “urgente un riassetto” normativo, dopo il fallimento del referendum costituzionale del 2016. È quello che scrive la corte costituzionale nella sentenza numero 240, depositata il 7 dicembre, esprimendosi sulla riforma degli enti varata nel 2014 e sulle corrispondenti norme della Regione Siciliana. Il punto principale sul quale la corte si è pronunciata è la norma che non prevede elezioni per il sindaco delle Città metropolitane – individuato automaticamente con il sindaco del Comune capoluogo – a differenza del presidente della Provincia, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio.

La questione era stata sollevata dalla Corte d’appello di Catania, ma è stata dichiarata inammissibile perché richiede un intervento di sistema, di competenza del Legislatore. In pratica la Conulta spiega che tocca al Parlamento intervenire per introdurre norme che assicurino ai cittadini la possibilità di eleggere, in via diretta o indiretta, i sindaci delle Città metropolitane. Nella sentenza, però, il giudice relatore Stefano Petitti sottolinea come la normativa attualmente vigente “non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale” circa l’uguaglianza del voto dei cittadini e la responsabilità politica del vertice della Città metropolitana. La necessità di un riassetto normativo del settore, si legge nella sentenza, è dovuta anche al fatto che la mancata abolizione delle Province, a seguito del fallimento del referendum costituzionale del 2016, ha reso “del tutto ingiustificato” il trattamento attualmente riservato agli elettori residenti nella Città metropolitana.

Già in passato la Consulta era stata chiamata a esprimersi sulla legge Delrio. Nel 2015 la corte ritenne che il meccanismo di individuazione del sindaco metropolitano nella figura del sindaco del comune capoluogo non fosse di per sé in contrasto con la Costituzione. Oggi, però, la stessa Corte fa notare che “l’esclusione di un vulnus appariva giustificabile allora, a ridosso dell’adozione della normativa di riforma dell’organizzazione e delle funzioni degli enti di area vasta, in ragione anche della necessità di consentire l’immediata operatività di tali enti, essa potrebbe non esserlo in futuro, in considerazione del tempo trascorso e di una pluralità di ragioni legate agli sviluppi intervenuti a seguito dell’adozione della disciplina in questione”.

Tra gli sviluppi, appunto, il fatto che la sostanziale abolizione delle province, prevista dalla riforma costituzionale del governo di Matteo Renzi, è stata bocciata nel dicembre del 2016. “Il meccanismo di individuazione del sindaco metropolitano, da un lato, e il sistema di elezione indiretta del presidente della Provincia, dall’altro lato, non possono infatti essere considerati in modo atomistico, come se fossero avulsi dal complesso di previsioni che disciplinano la forma di governo dei due enti di area vasta. Tali previsioni, nel loro insieme, costituiscono il frutto di un apprezzamento eminentemente discrezionale che il legislatore del 2014 ha operato nel presupposto di una generale diversità dei rispettivi assetti organizzativi e nella prospettiva della abolizione delle Province prevista dalla legge di riforma della Costituzione, non entrata in vigore a seguito dell’esito negativo del referendum costituzionale“. Per questo motivo oggi la Consulta chiede al legisltatore d’intervenire: “Rientra evidentemente nella discrezionalità del legislatore il compito di predisporre le soluzioni normative in grado di porre rimedio al vulnus evidenziato, che rischia di compromettere, per la mancata rappresentatività dell’organo di vertice della Città metropolitana, tanto l’uguale godimento del diritto di voto dei cittadini destinatari dell’esercizio del potere di indirizzo politico-amministrativo dell’ente, quanto la necessaria responsabilità politica dei suoi organi”.

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