Esistono ancora bambini invisibili? La risposta, affermativa e perciò drammatica, emerge da un prezioso rapporto pubblicato dalla Comunità di Sant’Egidio. Si intitola Nascere non basta (San Paolo) ed è anche il racconto di una piaga, quella della tratta dei minori, molto spesso ignorata. Nel suo saggio introduttivo, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione del governo Monti, riporta un dato alquanto inquietante: “Dei 125 milioni di bambini che ogni anno nascono nel mondo, un terzo non viene iscritto allo stato civile: una fascia della popolazione che, annualmente, vede perpetuata una sorte di esclusione”. Circa il 70 per cento della popolazione mondiale, infatti, vive in paesi con sistemi di stato civile incompleti o insufficienti. Tra i 166 milioni di minori sotto i cinque anni non registrati, 94 milioni vivono in Africa sub-sahariana e 65 nell’Asia meridionale e orientale. Africa e Asia, infatti, sono i continenti dove il problema è più grave.

Riccardi spiega che “questa è la vicenda dei bambini ‘invisibili’, che diventano minori venduti, piccoli schiavi buoni per ogni mestiere, anche i più rischiosi, compreso quello del sesso, ma anche bambini soldato, manodopera a basso costo e di facile gestione (meglio degli adulti), fornitori di organi per i trapianti (e quindi condannati a morte), lavoratori domestici senza diritti e spesso retribuzione… gente destinata ad essere sfruttata in ogni modo. Ci si sofferma in genere sui casi singoli, sui gruppi di sfruttati, ma qui si va al cuore di quello che è il meccanismo di esclusione: la mancanza di un’identità legalmente riconosciuta dallo Stato, per cui non si fa parte della popolazione della propria nazione, non si può essere iscritti a scuola, né usufruire dei servizi sanitari, si è più vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi. Le conseguenze sulla vita dei singoli, bambini prima e adulti poi, sono tante, ma un’unica esclusione è alla base di tutto”.

In questo abisso, sono oltre cinque milioni i bambini nel mondo che, a oggi, hanno potuto esistere legalmente ottenendo la registrazione allo stato civile grazie alla Comunità di Sant’Egidio: bambini di strada, minori detenuti in carcere, ex bambini-soldato, piccoli malati di Aids, ragazzi senza famiglia e malnutriti. Vivono nelle bidonvilles o negli slums delle grandi città africane, in campi profughi, colpiti da emergenze umanitarie e in tante altre situazioni di povertà. La Comunità, nelle più diverse situazioni, cura con particolare attenzione questo aspetto, facendo sì che sia registrata la nascita di tutti i piccoli raggiunti dalle sue iniziative. Tra gli oltre 100mila minori coinvolti nelle attività di Sant’Egidio (scuole della pace, centri nutrizionali, scuole gratuite e centri sanitari), sono tante le iniziative per affrontare questo problema nelle più diverse situazioni.

“La rivolta contro l’anonimato, per la registrazione dello stato civile, – spiega Riccardi – nasce dalla sinergia tra le Comunità di Sant’Egidio in Africa e quelle in Europa. Il programma Bravo! matura in questo tessuto di sinergia e speranza condivisa, di passione umana, di cultura giuridico-amministrativa, di volontà di cambiare pazientemente e radicalmente la condizione di parti cospicue delle società africane. Qui c’è l’origine ideale e organizzativa di Bravo!: la speranza di cambiare, anche se si tratta di un percorso lungo e paziente, attraverso le periferie e nel cuore delle istituzioni”. Una rivolta silenziosa, ma al contempo molto efficace, che dimostra come è possibile invertire la rotta, anche in tempi relativamente rapidi, contrastando una delle maggiori ingiustizie per una persona umana.

“Sembra che questo nostro tempo globale – sottolinea Riccardi – non coltivi più il sogno di cambiare il mondo: certo non è più il tempo della ‘rivolta’ come è stata intesa in tante culture politiche europee (e anche africane) del Novecento. Il nostro secolo è quello dei percorsi individuali e della battaglia per l’affermazione di sé nella competizione, spesso deludente? Lo è in buona parte e anche in Africa, dove pure la persona ha una collocazione molto più collettiva e familiare che in Europa. Ma c’è la possibilità di cambiare, rivoltandosi contro una situazione iniqua”. Per Riccardi “non usciremo da quel senso di impotenza che prende talvolta la nostra società, se non impareremo ad avere uno sguardo attento e generoso su mondi altri, mondi che la globalizzazione rende ormai raggiungibili”.

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