Ascia in mano e pugnale nell’altra, entra con aria solenne il capo tribale, dall’aspetto imponente ossequiato, dalle sue ancelle tralucenti portano la vittima sacrificale davanti al trono. La stendono per terra fra muggiti terrificanti. La lama si infila nel petto, il sangue gronda dappertutto, la tribù si strappa di mano le interiora. Non siamo sul set della saga televisiva, campione d’incassi, “Il Trono di Spade”, siamo al horror gotic party per una granguignolesca messa in scena. Mille invitati, forse di più. E il rave party che inaugurerebbe la stagione post-covid.
La location è The Qube, un hotel particulier trasformato per una nottata in un maniero fortificato medioevale. Invito sì ma a pagamento, 200 euro a persona, per chi è bravo a trattare il prezzo scende a 100, se si paga cash. Tre dj, uno per ogni piano, musica elettronica spacca/tutto a cominciare dai timpani. Il tasso alcolico si impenna a suon di urla e decibel. Intorno è un tutto un tripudio, anzi un’ammucchiata, di elmi con corna, armature di ferro, lunghe barbe, trecce, scudi e calzari. Tutti travestiti da gladiatori taroccati, che vogliono ricordare i feroci saccheggiatori dell’ assedio di Parigi dell’885-886. Le sexy vichinghe scelgono invece lembi di cuoio che (s)coprono l’essenziale, calze a rete strappate punkeggianti e corsetti strizzatette. Fumi soffocanti e giochi di laser, aliti e assembramenti scappo prima del blast finale.
Ho bisogno di Tanta Bellezza per togliermi dagli occhi la Grande Bruttezza. Eccola, me la trovo davanti, sono senza fiato. Da ogni prospettiva una percezione diversa: arrivando da le Bois de Boulogne sembra un bozzolo di farfalla che sta per spiegare le ali. Passo la spettacolare scalinata “inondata” da una cascata d’acqua e sembra un’Arca di Noè in chiave contemporanea. Luce, luce e ancora luce, l’iconico building in vetro di cristallo e acciaio la filtra come un prisma. E’ la Fondation Louis Vuitton e porta la firma di quel genio di Frank Gehry. Ho conosciuto Frank al matrimonio hollywoodiano di Dina De Laurentiis, figlia di Dino, il grande produttore. Era mio vicino di tavolo. Persona squisita, di una tale semplicità come solo i grandi lo sanno essere. Gli guardo le mani, sono minute e in segno di devozione, accenno pure un baciamano. Peccato che a Venezia il suo progetto per l’aeroporto sia rimasto un’incompiuto.
Meraviglia si aggiunge a meraviglia: tra le gemme della collezione Moroz ( fino al 22 febbraio alla Fondation LV), tra le più importanti di arte impressionista e moderna al mondo e per la prima esposta fuori dalla Russia, brilla, anche di tristezza, “The Prisoner”, di Vincent van Gogh, realizzata mentre era degente nel manicomio di Saint-Rémy. Noto come “La Ronda dei carcerati”, dove i prigioneiri con passo alienato si trascinano in quella che in gergo si chiama la fossa dei serpenti. C’è la fila per vederla l’ultima opera di van Gogh prima della sua tragica fila. Per circondarci, forse, che siamo sempre prigionieri di qualcosa: degli abissi mentali, della riccanza o anche di un virus.
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