Attilio Cillario, 61 anni, è riuscito a far coincidere tre anime: avvocato, produttore esecutivo di cartoni animati e distillatore. Si laurea in Giurisprudenza ma appena può, durante l’università, scappa nella casa di famiglia in provincia di Varese, un modo per stare a contatto con la natura. “Per me era un onore conoscere i contadini della zona, imparare i segreti della campagna – racconta – loro, ai miei occhi, erano super-uomini. Io li vedevo e li imitavo, tanto che avevo piantato nei dintorni della casa alberi da frutto. E proprio così, quasi per gioco, ho iniziato a fare esperimenti di distillazione, facendo esplodere le pentole a pressione di mia madre. Era solo un divertimento per me, giusto per fare tre litri di acquavite di Mirabelle per brindare a Natale”.

All’inizio è solo una passione, ma le cose cambiano poco dopo. Non da subito però, prima si inserisce una terza strada: “Per sei anni sono stato produttore esecutivo di cartoni animati. Alla mattina ero avvocato penalista e al pomeriggio mi immergevo in quella nuova dimensione. Abbiamo prodotto Cocco Bill di Jacovitti e otto edizioni dei Cartoni della Zecchino d’oro”. La svolta vera e propria arriva da un alambicco regalato da un amico che poi diventerà il suo socio, il signor Gigi Marazzi. “Lo avevo aiutato in una causa legale e quando lui mi chiese la mia parcella gli dissi che non la facevo pagare agli amici. Così lui, memore della mia passione di ragazzino, mi regalò un alambicco da 100 litri, che io ovviamente non potevo utilizzare, non avendo la licenza. Lo misi quindi in cantina, ma quel regalo risvegliò in me un’antica passione. Ripresi il mio vecchio alambicco piccolino e, visto che era il periodo in cui il gin stava tornando prepotentemente in voga, provai a produrne uno mio – spiega- Dopo un anno e mezzo è arrivato il prodotto che stavo cercando”.

Così Attilio decide di portarlo a Chiavari da un amico, Alex Molinari, Presidente dell’Associazione Italiana Sommelier della Liguria che lo assaggia e ne rimane estasiato. Arriva quindi il momento di rispolverare quel regalo di Marazzi e di fare le cose sul serio, insieme: nel settembre 2016 chiedono la licenza e il 21 giugno 2017 la ottengono. “A quel punto io e Gigi non sapevamo davvero cosa fare. Io avvocato, lui ingegnere. Volevamo fare il gin, ma ce n’erano già tanti e non sapevamo come fare il nostro. L’idea per la svolta venne a mia moglie Ausilia che mi propose di andare al Gin Day per capire un po’ di più di quel mondo. Così arrivammo lì con il nostro tavolino da 70 centimetri per un metro in mezzo agli stand dei grandi marchi. Esponevamo bottiglie con un etichetta su cui c’era scritto: ‘Qui ci potrebbe essere il tuo nome’. Era un modo per dire che avremmo potuto produrre qualsiasi tipo di gin richiesto. Quella che sembrava una mossa di marketing in realtà nasceva da una nostra debolezza e dalla volontà di essere diversi dai nostri competitor”.

L’idea funziona. Il primo prodotto fu per un bar di Sestri di un amico ed era un gin con alga wakame, ma ben presto il nome Cillario&Marazzi arriva anche ai grandi ristoranti gourmet. “Tutto quello che abbiamo ottenuto è stato grazie al passa parola. Lavoriamo molto con alberghi e ristoranti come il Trussardi alla Scala, il Luogo di Aimo e Nadia (due stelle Michelin), Piazza Duomo ad Alba (tre stelle Michelin) e ora stiamo producendo un gin per il Don Alfonso a Sant’Agata dei due Golfi (due stelle Michelin)”.

I clienti aumentano e la vita di Attilio è sempre più in distilleria. Lui è regolarmente iscritto all’albo degli avvocati, ma l’ultimo processo (vinto, ci tiene a specificarlo) risale al 20 dicembre dell’anno scorso. Ora le sue giornate sono fatte di dieci ore a distillare, tra richieste dei clienti e sperimentazione. “Mi sono preso un anno sabbatico dall’avvocatura. Mi sto dedicando alla distilleria e quello che cerco di fare è un gin che sia un gin. Appena lo assaggi devi capire esattamente cosa stai bevendo. Io faccio tendenzialmente London Dry, oppure Distilled (o Gin Distillato), partendo da un London Dry e aggiungendo gli ingredienti che mi ha richiesto il cliente. Produciamo anche Bitter Vermuth e Cassis, ma soprattutto il nostro gin sartoriale: ogni chef e sommelier in contatto con noi può comunicarci le suggestioni, i profumi e le botaniche che desidera ritrovare nel prodotto. Il gin è cucito su ogni esigenza, proprio come fosse un abito”.

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