Chissà se qualcuno avrà mai il coraggio di guardare negli occhi Giovanni. Dovrebbe dirgli che non potrà più accompagnarlo nel centro dove lui trascorre da 16 anni le sue giornate.

Giovanni ha quasi 50 anni, è un uomo alto dallo sguardo dolce e dai modi gentili. Giovanni è un disabile cognitivo al 100% ed ignora totalmente quello che noi ‘normali’ facciamo. Giovanni non sa cos’è l’ignavia e non capirà mai perché di lui sembrano tutti non interessarsi mai.

Dal 1° ottobre anche il centro diurno di Napoli sembra avergli voltato le spalle quando, con una mail lapidaria, veniva comunicato a sua sorella che il trasporto da casa verso il centro sarebbe stato interrotto. Così, semplicemente, interrotto. Impedire ad un disabile di frequentare un luogo che quotidianamente lo accoglie e lo accompagna nella vita è una violenza. Certamente una violenza nascosta ma pur sempre una orribile violenza.

A nulla valgono le ripetute richieste di chiarimenti di sua sorella. Giovanni rimane a casa mentre sua sorella scopre che il diritto al trasporto non esiste. Non è un obbligo della Asl, non è un obbligo del centro o del Comune. Il trasporto di un disabile adulto non è un livello essenziale di assistenza da queste parti e quindi Giovanni può restarsene a casa, così, per sempre.

In fondo rimane un disabile, solo un disabile. O meglio, un altro disabile solo.

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