“(Berlusconi) gli eventi se li è sentiti raccontare dal chiuso di Arcore o di palazzo Grazioli. E ha avuto solo una parte della verità. Gli è stato detto che noi al governo siamo draghiani e non siamo più berlusconiani, gli è stato raccontato che sulla giustizia non avremmo fatto il nostro dovere in Consiglio dei ministri. Gli è stato detto che ci saremmo venduti. Non possiamo nasconderci che c’è una delegazione di governo con tre persone che sono state da sei mesi tolte dai tavoli con il presidente”. Lo sfogo di Mariastella Gelmini all’assemblea dei deputati di Forza Italia – registrato in un audio diffuso da Repubblica – porta alla luce del sole la lunga faida sotterranea tra l’ala “moderata” e quella “sovranista” del partito azzurro. Il casus belli è l’elezione del nuovo capogruppo, con il presidente della Federnuoto Paolo Barelli designato da Berlusconi in persona, desideroso di evitare una conta interna ai suoi. Barelli, infatti – vicino al coordinatore Antonio Tajani che insiste per la federazione con Lega e FdI – avrebbe dovuto vedersela con Sestino Giacomoni, il candidato proposto dall’ala governista, in un’elezione interna ricca di significati, tanto che 26 parlamentari avevano chiesto che si svolgesse a scrutinio segreto.

L’intervento del padre nobile ha tagliato il nodo e il “suo” candidato è passato per acclamazione, mentre Giacomoni ha ritirato la candidatura. Ma non è bastato a evitare di lavare (in pubblico) i panni sporchi. Lo ha fatto la ministra degli Affari regionali, a partire dalle scelte della coalizione per le amministrative. “Sicuramente gli alleati hanno sbagliato tanto, perché le candidature le hanno scelte prevalentemente loro. E non candidare, come aveva chiesto Berlusconi, Maurizio Lupi a Milano è stato un errore, candidare Michetti a Roma è stato un gigantesco errore. Però dobbiamo anche dirci che potevamo essere più forti, più duri nei confronti del presidente nel chiedere candidature diverse. Se non vogliamo che Forza Italia si riduca a un cortile in cui vengono elette dieci persone, ma vogliamo tornare ad avere i voti, la linea politica è più quella di Mara Carfagna che quella di altri. È una linea di centrodestra, moderata, europeista, che ha cultura di governo, che Antonio Tajani potrebbe rappresentare egregiamente ma oggi ha rinunciato a rappresentare“.

Un manifesto politico, insomma, che immagina un partito ben distante dall’opposizione a Draghi di Giorgia Meloni e dai continui distinguo di Matteo Salvini. Declamato, forse non a caso, nel giorno in cui Berlusconi ha ospitato entrambi a pranzo a Roma: un incontro immortalato da foto e video e concluso con un comunicato stampa in cui i tre dichiarano di volersi muovere in modo “compatto e per tempo per preparare i prossimi appuntamenti elettorali e politici, con particolare attenzione all’elezione del prossimo presidente della Repubblica“. Al momento quindi la linea dei tre ministri azzurri – Gelmini, Brunetta e Carfagna – sembra ancora minoritaria nel partito. E a criticare lo sfogo di Gelmini arriva un altro esponente di governo, il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè: “Al profondo disagio denunciato del ministro Gelmini rispondo con un mio profondo disagio nell’aver ascoltato quelle parole che sono irreali, ingenerose e non veritiere nei confronti di Forza Italia e soprattutto del presidente Berlusconi”, attacca. “Il presidente Berlusconi dà ascolto a tutti e risponde a tutti, la narrazione è totalmente falsa e irreale. Ha tradito evidentemente una crisi di nervi dovuta alla scelta di un altro capogruppo rispetto a quello da lei indicato, ma il modo e i toni usati non le fanno onore, né per la storia né per l’incarico di governo che oggi ricopre”.

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