Piero Amara, l’avvocato al centro del caso sulla cosiddetta loggia Ungheria? “Convenimo sul fatto che non poteva essersi inventato tutto”. È così che, lo scorso 21 giugno, il consigliere del Csm Giuseppe Marra ha risposto al procuratore di Brescia Francesco Prete e al pm Donato Greco. Il componente del Consiglio superiore della magistratura è stato sentito come testimone nell’inchiesta, da poco chiusa, in cui il pm milanese Paolo Storari e l’ex consigliere Piercamillo Davigo sono accusati di rivelazione di segreto di ufficio per la vicenda dei verbali dell’avvocato Amara. Marra ha raccontato ai pm di Brescia il colloquio avuto con l’allora collega di Palazzo dei Marescialli. “Davigo mi disse in termini generali che era poco verosimile che Amara”, con le sue dichiarazioni sulla presunta Loggia Ungheria, “si fosse inventato tutto e che quindi era necessario riscontrare subito la veridicità di quanto dichiarato“. Storari nel dicembre 2019 raccolse, con l’aggiunto Laura Pedio, quelle dichiarazioni così gravi e nell’aprile successivo consegnò i verbali sulla fantomatica associazione segreta a Davigo per autotutelarsi poiché riteneva che i vertici della procura di Milano, nonostante le sue ripetute richieste di accertamenti, non avessero assunto iniziative per dare impulso alle indagini.

Marra, come ha ricordato, venne informato della questione da Davigo l’8 giugno 2020 quando, dopo il lockdown, era a Palazzo dei Marescialli. Quel giorno si recò nella stanza dell’ex pm di Mani Pulite “che mi fece vedere i verbali“. Quando poi Davigo andò in pensione, un anno fa, ha aggiunto, gliene lasciò copia sulla scrivania dell’ufficio affinché “li custodissi nel caso in cui” li avesse chiesti “qualcuno del comitato di Presidenza del Consiglio Superiore”. Ma “dopo qualche settimana – ha aggiunto – li ho strappati“. Marra ai pm bresciani ha raccontato che Davigo, il giorno in cui “mi fece vedere” i verbali, durante un pranzo in cui hanno avuto “l’accortezza di lasciare i cellulari in ufficio di modo da avere un dialogo più libero”, oltre ad avergli fornito dettagli su “alcune circostanze ed alcuni nomi della presunta loggia Ungheria” gli raccontò “dell’aiuto” chiestogli da Storari. Secondo Davigo, “almeno Amara ed altre due persone, essendo rei confessi in merito all’appartenenza alla loggia segreta, andavano iscritti”. Davigo, ha chiarito Marra, “mi tranquillizzò dicendomi di averne parlato prima con Ermini e poi con Salvi, aggiungendo che Ermini aveva poi riferito la vicenda al Quirinale“.

Il pg della Cassazione Salvi, come lui stesso ha riferito il 16 luglio agli inquirenti di Brescia, aveva saputo dall’ex pm di Mani Pulite della “situazione delicata” in Procura a Milano, durante un colloquio nel cortile di Palazzo dei Marescialli nella “primavera” 2020. “Mi disse che a suo avviso era necessario che io – ha spiegato – avessi un chiarimento” con il procuratore di Milano Francesco Greco in quanto dopo mesi “non aveva neppure iscritto la notizia di reato”, nonostante le ripetute richieste di Storari, a partire da una mail inviata a fine dicembre all’aggiunto Laura Pedio. “Quel che ho fatto – ha detto Salvi – è di chiamare” Greco per capire “quello che stava accadendo (…) sia al telefono sia in un incontro avvenuto presso il mio ufficio il 16 giugno 2020, mi spiegò che in realtà non vi era stata da parte loro alcuna inerzia“. In più, ha continuato il pg, “in merito alle iscrizioni da effettuare mi disse che avevano avuto bisogno di qualche tempo, sia per capire quali dovessero essere (…) sia perché il racconto di Amara era così vasto da richiedere un approfondimento prima di iscrivere soggetti anche di rilievo istituzionale“. Alla domanda se la prima telefonata a Greco fosse avvenuta tra l’incontro con Davigo e il 12 maggio 2020, giorno in cui a Milano si fecero le prime iscrizioni, Salvi ha risposto che “è verosimile, ma non posso darne certezza”

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