Torna in carcere Francantonio Genovese, l’ex deputato del Pd, ras di consensi nel Messinese, dove è stato anche sindaco del capoluogo, al centro di uno scandalo sull’utilizzo delle risorse per la formazione professionale in Sicilia. La Cassazione ha infatti confermato il giudizio in Appello a 6 anni e 8 mesi. Diventa definitiva dunque la condanna per tentata estorsione ai danni dell’allora dirigente regionale alla Formazione Ludovico Albert, per due episodi di reati tributari, mentre per il reato di riciclaggio, che era stato escluso dalla Corte d’Appello di Messina la Cassazione ha disposto un nuovo processo a Reggio Calabria.

Finisce così una lunga battaglia giudiziaria iniziata nel 2014, quando la procura dello Stretto aveva inoltrato una richiesta di arresto per il parlamentare dem, firmata da Sebastiano Ardita, all’epoca aggiunto procuratore a Messina, a capo dell’inchiesta sulla Formazione, e i sostituti Antonio Carchietti e Fabrizio Monaco. La Camera dei deputati votò a favore dell’autorizzazione a procedere e al termine della votazione Genovese prese un aereo per tornare in Sicilia e consegnarsi alla polizia. Il 15 maggio entrò così in carcere dove rimase pochi giorni, per poi tornarci dopo il ricorso della procura. Restò in carcere per 10 mesi, per poi passare ai domiciliari per altri 4. Al termine delle misure preventive, nel novembre del 2015, annunciò il suo passaggio in Forza Italia (poi abbandonata già nel luglio del 2019).

Nel frattempo l’ex parlamentare ha lasciato l’attività politica in prima linea, continuando a incassare consenso elettorale attraverso la candidatura del figlio Luigi, eletto nel novembre del 2017 come più giovane consigliere regionale, a soli 21 anni, con 17463 preferenze. Voti che quasi pareggiavano i 19mila con cui il padre risultò nel 2012 il più votato d’Italia alle primarie del Pd e che risultarono essenziali nel 2017 per l’elezione dell’attuale presidente siciliano, Nello Musumeci. Un consenso quasi del tutto trasferito al figlio, senza intoppi, nonostante la condanna – a gennaio dello stesso anno – in primo grado a 11 anni, all’esito di un processo durato due anni e che aveva visto illustri testimoni quali l’ex ministro per la Coesione economica, Fabrizio Barca, l’ex governatore Rosario Crocetta e l’ex dirigente Albert, che lo accusava di tentata estorsione.

Ed è questo reato che ora pesa sulla condanna del politico siciliano. Durante il processo di primo grado, Albert aveva testimoniato di avere ricevuto delle pressioni da Genovese, alle quali aveva opposto resistenza, e “di fronte alle sue resistenze di assecondare la richiesta di intervenire sulla graduatoria in favore della Training Service, gli disse: ‘ti dovremo attaccare a 360 gradi‘”, così si legge nelle motivazioni di condanna di primo grado, scritte dai giudici della prima sezione penale di Messina. Accusa, secondo i magistrati, che aveva “trovato pieno riscontro nelle dichiarazioni rese dall’imputato Salvatore La Macchia”, che ha “confermato integralmente”.

Dopo la sentenza di primo grado, il 20 settembre del 2019 la Corte D’Appello ha alleggerito la condanna a 6 anni e otto mesi, assolvendo l’ex sindaco di Messina dalle accuse di riciclaggio e autoriciclaggio, mentre sono risultati prescritti alcuni capi d’imputazione per reati fiscali e truffa. La cassazione lunedì sera ha confermato la sentenza – cinque anni per tentata estorsione, un anno per associazione a delinquere e 6 mesi per due reati tributari – e accolto il ricorso della procura generale di Messina, guidata da Vincenzo Barbaro, per l’assoluzione dall’accusa di riciclaggio.

Nell’ambito dello stesso processo era anche imputato il cognato, Franco Rinaldi, ex consigliere regionale per il Pd: per lui la Cassazione ha deciso per l’annullamento senza rinvio per il reato associativo, per prescrizione, mentre è stata confermata la condanna per i reati tributari a due anni e sei mesi. Al termine della lettura della Corte, amaro il commento del difensore di Genovese, Nino Favazzo: “Un epilogo inaccettabile quello che vede Genovese condannato ad una pena severissima per un delitto che non ha certamente commesso: il tentativo di estorsione ai danni di Ludovico Albert – ha detto Favazzo -. Sì perché, il processo alla formazione, per il principale dei suoi protagonisti, si è ridotto ad una condanna per un reato odioso ma insussistente, nonostante le due pronunce di merito, oggi confermate, abbiano ritenuto il contrario. Per il resto, non mi meraviglia la dichiarazione a tappeto dì inammissibilità dei ricorsi, perché quasi tutti i reati per cui vi è stata condanna, anche il tentativo di estorsione, in caso di loro ammissibilità, avrebbero dovuto essere dichiarati prescritti, così come è avvenuto per il ricorso dì Franco Rinaldi. In questo caso, infatti, l’accoglimento del motivo ha comportato l’annullamento senza rinvio per il delitto dì associazione a delinquere per cui vi era stata condanna in secondo grado”.

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